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Guerra in medio oriente

L'inconsistente visita di Barrot in Libano: lì Parigi non ha più alcun peso

Mauro Zanon

Il neoministro degli Esteri francese è stato il primo alto diplomatico occidentale a recarsi in Libano dopo la morte di Hezbollah, ma è in posizione di debolezza. "All'epoca di Chirac i paesi arabi sapevano di poter contare sulla Francia, oggi non più”, ci dice il giornalista dell'Opinion Jean-Dominique Merchet

Secondo le informazioni del quotidiano Libération, il neoministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, è venuto a conoscenza dell’inizio dell’operazione di terra delle Forze di difesa israeliane (Idf) in Libano quando era già a bordo dell’aereo di ritorno verso Parigi. “E’ un episodio che mostra tutta l’impotenza della Francia in Libano”, dice al Foglio Jean-Dominique Merchet, giornalista dell’Opinion, specialista di questioni militari e geostrategiche, prima di aggiungere: “La Francia è il paese fondatore del Libano ed è membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma oggi non ha alcun peso per cambiare le cose sul campo. Può solo sfornare dichiarazioni e comunicati”. Barrot è stato il primo alto diplomatico occidentale a recarsi in Libano dall’aumento dei raid israeliani e la morte del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah.

L’inquilino del Quai d’Orsay è arrivato a Beirut domenica 29 settembre e vi è rimasto 24 ore. Durante la sua visita ha ribadito l’impegno della Francia “nella protezione dei civili” e annunciato la consegna di 12 tonnellate di materiale sanitario. Poi ha incontrato alcune autorità locali, tra cui il primo ministro libanese, Najib Mikati, e lunedì pomeriggio ha “esortato” Israele ad “astenersi da qualsiasi incursione di terra” in Libano, invocando un “cessate il fuoco” e una soluzione diplomatica, “la sola che può garantire una tregua immediata seguita dalla fine delle ostilità”. Il risultato? Poche ore dopo, l’Idf ha lanciato la sua operazione di terra contro Hezbollah.

“La visita di Barrot in Libano è stata più un’operazione di comunicazione a uso domestico che una vera missione diplomatica. I risultati infatti sono stati inesistenti”, dice al Foglio Fabrice Balanche, professore di geografia all’Università Lyon 2 ed esperto di medio oriente. Stando a quanto trapelato dal suo entourage, Barrot avrebbe passato “l’intera durata del volo” di ritorno a fare il bilancio degli incontri avuti in Libano e a “preparare i prossimi bilaterali e le tappe diplomatiche con i suoi omologhi”. Ma secondo Jean-Dominique Merchet, “la Francia non può fare nulla di concreto, e nemmeno gli americani possono fare qualcosa”. “Giovedì scorso Washington, Parigi e altri paesi europei e arabi hanno chiesto un cessate il fuoco di 21 giorni tra Israele e Hezbollah e il giorno dopo, come se niente fosse, Israele ha lanciato un attacco a Beirut e ucciso Nasrallah. Per ora, si può solo garantire aiuti umanitari, spedire materiale medico e cibo”.

L’indebolimento del peso della Francia in Libano si è accelerato nell’agosto del 2020, quando Macron è volato nel paese dei cedri dopo le esplosioni nel porto di Beirut. “Nel 2020 è l’unico leader europeo a recarsi nella capitale libanese, ma vuole cambiare la governance del paese e tratta con arroganza i responsabili politici libanesi, tra cui figure che hanno combattuto la guerra civile. Inoltre, arriva a mani vuote, quando tutti si aspettavano che arrivasse a Beirut con i soldi. I dirigenti del Libano si sono detti: ma chi è costui? Come osa darci lezioni? E gli hanno voltato le spalle. Questo sentimento di diffidenza verso Macron è ancora presente in Libano”, spiega al Foglio Fabrice Balanche. “Nel 2020 venire in soccorso dei libanesi è stato un gesto positivo, nessuno può negarlo, ma ha anche mostrato al mondo la debolezza della Francia. Invece di accettare una postura più modesta, Parigi ha voluto continuare a esercitare un ruolo politico smisurato rispetto alle sue capacità. Il Libano è una creazione della Francia, non bisogna dimenticarlo. Ma oggi c’è un rapporto romantico, nostalgico rispetto a un Libano che non esiste più”, aggiunge Merchet. Jean-Yves Le Drian, ex ministro degli Esteri e della Difesa durante il primo quinquennio Macron, è stato nominato inviato speciale francese in Libano nel giugno 2023, per via dei suoi rapporti eccellenti con le autorità del paese.

Lunedì 23 settembre, Le Drian ha incontrato il capo dell’Esercito libanese, Joseph Aoun, e altri dirigenti locali nel quadro della sua sesta missione diplomatica a Beirut dalla nomina, con la speranza di frenare l’escalation. Invano. “Le Drian fa molte cose, ha ottimi rapporti in Libano, ma nel concreto non può produrre alcun risultato. E’ stato ricevuto perché i libanesi sono cortesi, francofili e francofoni, ma non può fare nulla”, dice al Foglio Merchet. “Le Drian è riconosciuto e apprezzato a Beirut, ma i libanesi sanno bene che non ha il potere di cambiare le cose”, sottolinea anche Balanche, che avanza un’analisi più generale sulla politica estera di Macron. “Macron ha cercato di trasporre l’en même temps, il suo marchio di fabbrica in Francia, nella diplomazia: ma non ha funzionato e continua a non funzionare. All’estero vogliono una linea chiara, e la Francia non ce l’ha. Con Jacques Chirac, nel 2006, Parigi aveva una linea apertamente pro araba. Certo si può dibattere sulla posizione di Chirac, ma quantomeno era chiara. I paesi arabi, all’epoca, sapevano di poter contare su Parigi, oggi non più”.

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