Medio oriente

Biden difende il diritto alla difesa di Israele e guida la diplomazia occidentale

Giulia Pompili

La riunione del G7 e poi quella del Consiglio di sicurezza dell'Onu. I negoziati e il coordinamento sulla risposta contro l'Iran dopo l'attacco missilistico 

Ieri pomeriggio c’è stata una riunione straordinaria virtuale del G7 per parlare dell’aggravarsi della crisi in medio oriente, provocata dall’attacco missilistico iraniano contro Israele dell’altro ieri. I leader hanno coordinato “una risposta a questo attacco, comprese nuove sanzioni”, secondo la versione del comunicato finale americano, ma hanno fatto sapere anche che “una soluzione diplomatica risulta ancora possibile”, ipotesi che però si legge soltanto nel comunicato italiano. La comunità occidentale sta manifestando, pur con qualche sfumatura, le propria unità nel sostegno a Israele. Il presidente americano Joe Biden da ventiquattro ore non fa che ripeterlo, e l’altro ieri il suo impegno si è rivelato in una parola, “fully”, pienamente, ripetuta per tre volte alle telecamere, poco dopo la fine dell’attacco missilistico iraniano: “Non commettete errori, gli Stati Uniti sostengono pienamente, pienamente, pienamente Israele”, ha detto. Il messaggio è rivolto soprattutto al regime iraniano, che potrebbe aver interpretato come debole l’alleanza fra Washington e lo stato ebraico nella fase più dura della guerra a Gaza. Ma ora qualcosa è cambiato. Le operazioni delle Forze armate israeliane degli ultimi dieci giorni hanno coinciso con un più forte ed esplicito sostegno della Casa Bianca nei confronti di Israele e della sua strategia militare – ieri per la prima volta soldati israeliani e truppe di Hezbollah si sono scontrati a distanza ravvicinata in alcune zone nel sud del Libano, e l’aviazione israeliana ha compiuto nelle stesse ore un attacco aereo su una zona residenziale di Damasco. Alla riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che si è tenuta ieri per discutere di medio oriente l’ambasciatore cinese Fu Cong  ha accusato Israele di “violare le norme internazionali”.


Poche ore prima, in un’azione più politica che concreta, il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz  aveva dichiarato il segretario generale dell’Onu, António Guterres, persona non grata per non aver condannato l’attacco missilistico iraniano. L’Iran è un nemico comune dell’alleanza occidentale, e come nell’attacco missilistico contro Israele di aprile – il primo diretto del regime di Teheran contro lo stato ebraico – America, Regno Unito e Francia hanno confermato il loro coinvolgimento attivo nella protezione dei cieli israeliani durante l’attacco missilistico dell’altro ieri. Soltanto nel pomeriggio di ieri è arrivata la conferma del fatto che alcune basi militari israeliane sono state colpite dai missili iraniani durante l’attacco iraniano: le conferme da parte delle Forze armate israeliane sono poche per motivi di sicurezza, ma soprattutto per non rischiare di dare informazioni utili all’Iran in caso di ulteriori attacchi. Se il sistema di difesa aereo di Israele l’altro ieri si è mosso quasi alla perfezione, selezionando i missili ostili da abbattere per proteggere la popolazione, il supporto militare di America, Regno Unito e Francia resta fondamentale anche per la deterrenza – lo sa anche l’Iran, ed è il motivo per cui nel suo discorso di ieri la Guida suprema iraniana Ali Khamenei ha detto che è la presenza “di America e paesi europei in medio oriente” a causare i conflitti. 


Dietro le quinte, la diplomazia è al lavoro per cercare di mandare messaggi di unità e forza, lasciando però spiragli di dialogo in un equilibrio delicatissimo. Tutto adesso ruota attorno ai negoziati e al coordinamento che riguarda la prossima fase: al di là della propaganda e delle dimostrazioni di forza, gli analisti e i diplomatici cercano di capire quanto potrà essere potente la risposta di Israele contro l’Iran, e quale potrebbe essere la controreazione iraniana. Parlando con i giornalisti ieri pomeriggio, Biden ha detto che la risposta israeliana è legittima, ma “dovrà essere proporzionata”. Quando qualcuno gli ha chiesto se sosterrà un eventuale strike israeliano contro gli impianti nucleari iraniani, Biden ha risposto: “No”. Neanche un’ora dopo il portavoce del dipartimento di stato Matthew Miller ha detto che l’America continua a parlare con il governo israeliano della sua risposta, ma che “in ultima analisi, spetta a loro, come a qualsiasi paese sovrano, prendere le proprie decisioni”. Ieri Barak Ravid di Axios, dopo aver parlato con alcune fonti anonime, ha scritto che la risposta israeliana all’attacco iraniano di aprile era stata molto contenuta (contro una batteria di difesa aerea S-300 su territorio iraniano) ma stavolta anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che l’Iran “ha commesso un grosso errore e lo pagherà”, e poi che “Israele sta affrontando tempi difficili perché combatte l’asse del male dell’Iran”. L’opzione di colpire gli impianti nucleari dovrebbe essere sul tavolo solo in caso di controrisposta iraniana. Per ora, Israele si starebbe concentrando su attacchi alle strutture petrolifere iraniane, “ma alcuni sostengono che anche gli omicidi mirati e l’eliminazione dei sistemi di difesa aerea iraniani sono una possibilità”, ha scritto Ravid. 


L’escalation è una possibilità, ed è il motivo per cui diversi paesi occidentali hanno già iniziato a evacuare i concittadini dal Libano. Germania, Francia, Regno Unito e Australia hanno previsto mezzi militari o, come l’Australia, sostegno economico per l’evacuazione. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha detto ieri che “adesso non stiamo evacuando gli italiani, ma invitiamo chi vuole a rientrare in Italia, agevolando i rientri attraverso accordi e contratti con compagnie aeree private per aggiungere nuovi voli dal Libano”. Nel frattempo, secondo la stampa locale di Cipro, il porto di Napa Marina, sulla costa orientale cipriota, è stato attrezzato per accogliere eventuali evacuati e ha già iniziato a far attraccare imbarcazioni con personale e staff di ambasciate di paesi europei dal Libano. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.