Foto Getty

Dal Regno Unito

Milionari in fuga da Londra dopo la stretta fiscale sui grandi capitali

Cristina Marconi

Prima la Brexit, poi l’instabilità dei Tory, ora un principio goffo di redistribuzione del Labour. Tra regole antiquate e patrimoni dimezzati, migliaia di ricchi scappano dalla capitale finanziaria globale, e vanno verso Parigi, che sogna di diventare la città più ricca d’Europa entro il 2030

Chi possiede fortune coloniali, grandi capitali, ricchezze favolose di antico o nuovo conio ha sempre trovato in Londra un porto accogliente. Spesso, nonostante la pioggia battente, ha scelto la grande metropoli per vivere, attirato dalla stabilità politica e dalle scuole eccellenti, ma anche da una regola vecchia del 1799 secondo cui gli stranieri che abitano nel Regno Unito possono scegliere di pagare le tasse solo su quello che guadagnano nel Regno Unito, tenendo fuori le loro ricchezze all’estero, a condizione che non vengano riportate nel paese o depositate sui conti correnti locali. Bastava versare 30 mila sterline all’anno e per quindici anni si poteva vivere sereni, mentre il resto dei contribuenti britannici paga le tasse su tutto quello che possiede o guadagna, nel paese o fuori. A oggi lo fanno in 74 mila, dieci anni fa erano 115 mila circa. Che sia una grande ingiustizia o un astuto modo di attirare contribuenti d’oro, movimentando consumi, filantropia e anche faraoniche entrate fiscali, è una faccenda dibattuta da decenni e la conclusione, raggiunta sia dai conservatori sia dall’attuale governo laburista, è che la misura, informale ma consolidata, abbia ormai fatto il suo tempo. E infatti nella sua prima manovra, il 30 ottobre prossimo, la cancelliera Rachel Reeves si preparerebbe ad annunciare “la stretta sulla scappatoia dei non dom”, come promesso sul palco di Liverpool, in modo che il 6 aprile prossimo, inizio dell’anno fiscale britannico, i cosiddetti non dom si avvieranno verso una normalizzazione della loro situazione. Era stato lo stesso Jeremy Hunt, ex cancelliere conservatore, ad annunciare l’abolizione del regime speciale considerato datato e iniquo, lasciando un periodo “di grazia” di quattro anni prima di dover pagare le tasse come tutti i residenti nel Regno Unito. Il Labour ha messo a punto un giro di vite alle misure di Hunt, cancellando lo sconto del 50 per cento per i primi due anni e annunciando che tutti i beni all’estero verranno sottoposti alla legge britannica sulle successioni

 

                    

Insomma, starebbe per finire un’epoca lunga 225 anni, e non è una fine improvvisa: quando è stata introdotta l’imposta sul reddito tutti i contribuenti avevano diritto di escludere le entrate accumulate all’estero e solo nel 1914, con la guerra, l’esenzione venne limitata ai soli “stranieri”, definizione lasca che al momento include chi è nato all’estero o addirittura chi ha un padre nato all’estero. L’idea di chiudere il loophole è vecchia, ma al momento di procedere i dubbi si stanno moltiplicando perché il rischio concreto è che i milionari facciano le valigie e se ne vadano. “Riceviamo tante richieste di informazioni, al momento non ci sono ancora decisioni, ma siamo in una fase di analisi e investigazione, l’Italia è molto attraente e il Regno Unito è ormai fuori dalla lista delle destinazioni per chi ha grandi patrimoni”, spiega Giuliano Foglia, fondatore di Foglia&Partners, che si occupa di consulenze per i grandi patrimoni e che sta toccando con mano il fenomeno di cui tutti parlano, ossia l’interesse crescente verso Milano. I milionari sono reattivi, e i cosiddetti High Net Worth Individuals sono una tribù più nomade che mai. La fine dei non dom, e una misura ancora più controversa che imporrà di pagare la tassa di successione del 40 per cento anche sugli asset esteri tenuti in un trust, rischia di mettere le basi per un ulteriore, distopico “2025, fuga da Londra”, sequel di quello iniziato con la Brexit. Christian Angermayer, che ha fatto i miliardi con le criptovalute e sogna delle Olimpiadi in cui venga incoraggiato l’uso di sostanze dopanti, ha annunciato a Bloomberg il suo trasferimento a Lugano. “Tutti i non dom che conosco se ne stanno andando”, ha dichiarato. E in queste settimane la stampa si sta riempiendo di storie simili e di pareri autorevoli che invitano alla cautela. 

Secondo un rapporto di Ubs Global Wealth i milionari nel Regno Unito potrebbero ridursi del 17 per cento, passando da 3.061.553 nel 2023 a 2.542.464 nel 2028. Se dal 2017 al 2023 ben 16.500 milionari hanno fatto le valigie, solo nel 2024 il loro numero è destinato a raggiungere un vertiginoso 9.500, secondo uno studio di Henley&Partners, uno di quei documenti che vengono citati da tutti perché hanno il vantaggio di inserire degli elementi concreti in una questione molto dibattuta e altamente politica. E a beneficiarne, con buona pace dei britannici, sarà Parigi, destinata a diventare la città più ricca d’Europa entro il 2030 se non fosse per due motivi: l’instabilità politica altrettanto perturbante e l’atmosfera di antisemitismo che rende la Francia poco accogliente per molti, nonostante gli evidenti sforzi fatti dal presidente Emmanuel Macron per attirare la comunità finanziaria. 

Quando si tratta di lasciare Londra, il punto che riguarda le eredità viene universalmente considerato il più dolente. La città ha un fascino sufficiente a convincere più di qualcuno a restare nonostante l’aumento delle tasse, ma quando si tratta di lasciare un patrimonio dimezzato ai propri figli i dubbi prevalgono. L’83 per cento dei non dom considera quello sulle successioni l’elemento dirimente per decidere cosa fare, secondo uno studio pubblicato da Oxford Economics. La faccenda sta generando molto dibattito anche a sinistra, addirittura sul Guardian, perché il momento tanto atteso rischia di trasformarsi in un boomerang per le casse dello stato: e se andassero tutti via? La domanda se la fa anche il Treasury e l’Office for Budget Responsibility, che teme un buco da 1 miliardo, altro che i 3,2 miliardi di sterline in più che qualcuno favoleggiava. E pure l’ex economista capo della Bank of England ha detto lo stesso. “Questo rende più o meno probabile che la gente parcheggi qui i propri soldi, crei le proprie imprese e quindi generi ricchezza?”, si è chiesto Andy Haldane a Lbc, che ha rilevato come la fiducia delle imprese “è andata giù nelle ultime sei settimane”, in vista della manovra di fine ottobre. “Fosse per me ci andrei un po’ piano prima di scoraggiare proprio quel flusso finanziario di cui abbiamo bisogno per andare avanti”. L’anno scorso i non dom hanno pagato 9 miliardi di sterline di tasse, l’1 per cento versa molto più del 10 per cento e, che piaccia o no, privarsene è un azzardo. Negli ultimi giorni fonti del ministero hanno fatto sapere che la cancelliera Reeves sarà “pragmatica e non ideologica” a questo proposito, e pazienza se la misura sia stata inclusa nel manifesto elettorale: non si può rischiare di intaccare il gettito. O di avere un risultato risibile all’inizio e poi dannoso nel lungo termine. Togliere la protezione dei trust per le successioni dovrebbe portare tra i 50 e i 100 milioni di sterline, praticamente niente. Il vento del ripensamento sta soffiando forte

A prescindere da come andrà la faccenda dei non dom, quella che sembra intaccata è l’immagine del governo sicuro di quello che fa, della svolta positiva dopo le vette carnevalesche degli anni dei Tory. Per chi ha grandi patrimoni questi tentennamenti sono tutt’altro che incoraggianti e risultano anche molto un-British. E pensare che solo qualche anno fa si temeva che Londra sarebbe diventata “Singapore sul Tamigi”: iniqua, sregolata, attraente per i grandi capitali. Sta succedendo esattamente il contrario e il tentativo del governo Starmer di pubblicizzare il paese come un magnete per gli investitori, rassicurandoli con la stabilità che è mancata agli ultimi anni, al momento sta facendo acqua da tutte le parti. Uno dei critici più insistenti è Charlie Mullins, federatore di idraulici in grado di offrire affidabilità e pronto intervento in cambio di un compenso alto con Pimlico Plumbers, la Harrods della manutenzione dei tubi, azienda nata nel 1979 e che l’ha reso stramilionario. Con la sua zazzera alla Rod Stewart, è intervenuto a più riprese nel dibattito annunciando la sua intenzione di lasciare Londra per andare a Dubai o in Spagna, perché nel Regno Unito “penalizzano la gente di successo”. 

Le norme sui non dom facevano parte di quelle stranezze britanniche che, come le guardie reali con il cappello di pelle d’orso, il Marmite e le auto con la guida a destra, negli anni hanno irrobustito il mito della città attenta ai soldi, ma anche generosa, con la sanità pubblica e tante possibilità per tutti. “Io penso che Londra sia diventata Londra anche per questo tipo di regime”, spiega Giuliano Foglia. Una stranezza legale ma non per questo accettata, anzi: quando si è scoperto che la fantastiliardaria moglie dell’allora premier Rishi Sunak, Akshata Murty, figlia di uno degli uomini più ricchi dell’India, era nella lista dei non dom, i non domiciliati, ha dovuto rapidamente annunciare l’intenzione di fare la sua parte con il fisco britannico nonostante il paese avesse un governo conservatore da sempre tollerante verso le questioni di ricchezza. La sua vicenda ha avuto un peso enorme nel ricordare all’opinione pubblica l’esistenza del loophole e nel rendere politicamente necessaria una risposta. “Avete visto le piccole imbarcazioni andare in una direzione, ora aspettatevi i jet privati andare nell’altra”, scrive il Daily Mail, che vede in Milano una delle mete preferite per chi cerca di scappare dall’afflato redistributivo più o meno forte di una Downing Street che, a prescindere dall’inquilino, ha colto negli ultimi anni il messaggio populista della Brexit. 

A insistere a favore dell’abolizione del regime dei non dom è uno studio, piuttosto isolato, dell’Università di Warwick. Secondo il prof. Arun Advani, “la maggioranza dei non dom è nel Regno Unito per lavorare”, sono banchieri o calciatori e non hanno motivo per lasciare il paese, ma devono essere tassati come tutti gli altri. Non sono quindi solo oligarchi, ma persone che godono di benefici diversi e ingiustificabili rispetto ai loro colleghi. Inoltre a suo avviso l’esperienza insegna che in pochi, alla fine, lasciano. “Fanno lavori che pagherebbero meno in altri posti”, spiega, e in più c’è l’effetto-Londra a trattenere le persone. Valutazioni di tutto rispetto, che però al momento anche il Treasury sembra ritenere scivolose

Anche perché non ci sono solo i non dom ad avere un piede sulla porta, ma pure chi lavora nel private equity e teme che Reeves a fine ottobre decida di far pagare più tasse sulla principale forma di remunerazione dei manager, ossia il carried interest, una quota di profitti che al momento sono tassati come plusvalenze, portando l’aliquota dal 20-28 per cento al 40-45 per cento. Il governo aveva promesso che non lo avrebbe fatto, ma tutti i segnali stanno andando in quella direzione. La tassa aiuterebbe a raccogliere 565 milioni di sterline all’anno, da spendere per la salute mentale – un tema non da poco al momento, tra raptus omicidi e giovani che si sono ritirati dal mondo e dal lavoro – e per aiutare i veterani dell’esercito. Peccato che anche questo settore abbia tutti gli occhi rivolti verso altre destinazioni, Italia in primis, o magari la Spagna. Milano è il posto di cui tutti parlano come la destinazione preferita. La tassa “Svuotalondra”, ossia la flat tax per gli stranieri, recentemente raddoppiata a 200 mila euro, rimane molto competitiva e la qualità della vita è stellare

Che la City si stesse svuotando è evidente da tempo, la forza enorme che ha avuto in passato le garantisce una decina d’anni prima che si spenga, ma sono state fatte troppe scelte in una sola direzione, garantisce chi ci lavora: dalla Brexit, che non doveva per forza essere hard e invece lo è stata, all’instabilità politica degli anni dei conservatori, con cinque primi ministri in 13 anni e una Liz Truss in grado di fare danni enormi in un battito di ciglia, il settore finanziario ha sofferto molto. E l’atteggiamento verso la ricchezza è cambiato. Anche il fatto di imporre l’Iva sulle scuole private, tasse che gli istituti come Eton hanno trasferito interamente sulle famiglie, ha cambiato la prospettiva, mentre sul mercato immobiliare le grandi magioni restano invendute. Secondo Knight Frank, solo 149 case da 10 milioni o più sono state vendute nell’ultimo anno, contro le 192 dell’anno precedente. “E’ il senso complessivo di incertezza più che una misura in particolare a far esitare le persone”, ha spiegato Stuart Bailey, capo della divisione vendite superlusso a Londra. 

C’è anche chi ha scelto di lasciare la capitale britannica per andarsene nelle parti più pregiate della campagna inglese, facendo diventare casa quello che prima era solo un rifugio per il fine settimana ed evitando così l’aumento delle tasse sul capital gain previsto nella manovra d’autunno e applicato sulle seconde abitazioni. Qualcuno si trasferisce, qualcuno sta vendendo le magioni in Cornovaglia e nel Norfolk, in generale ci sono più abitazioni di pregio sul mercato rispetto all’anno scorso nell’intero Regno Unito

Insomma, sebbene amichevole e moderato il governo laburista ha avviato un’opera di ridistribuzione che al momento appare goffa e ha fatto arrabbiare tutti. Come se stesse sotto jet lag o non avesse ancora messo a fuoco la sua missione. Se da una parte ha tagliato i sussidi per il riscaldamento agli anziani, dall’altra non fa sconti neppure ai ricchissimi nel tentativo di risanare l’enorme buco nei conti pubblici, 22 miliardi di sterline, lasciato dai Tory. “Chi ha le spalle più larghe deve farsi carico del peso più grande”, ha dichiarato il premier Starmer. Era lo stesso linguaggio usato da Jeremy Hunt nel marzo scorso. “Spalle larghe”. Il problema, da affrontare con realismo, è che chi ce le ha si sta organizzando diversamente.

Di più su questi argomenti: