foto Ap, via LaPresse

l'editoriale del direttore

Perché il pacifista collettivo va in tilt quando si trova a fare i conti con la violenza dell'Iran

Claudio Cerasa

L’Iran, per i pacifisti, è uno specchio letale chiamato realtà, dove tutte le ipocrisie dei nemici di Israele emergono con forza. Condannare Teheran per quello che fa, per quello che rappresenta, per il terrore che alimenta, per il terrorismo che finanzia, significherebbe dover fare i conti con i fatti e non con la propaganda

Manifestazioni di protesta? Zero. Collettivi indignati? Zero. Appelli per il disarmo? Zero. I missili balistici lanciati dall’Iran, piovuti martedì scorso sul cielo di Israele, missili che senza la presenza di un formidabile scudo chiamato Iron Dome avrebbero fatto una strage nello stato ebraico, non hanno decisamente scaldato il cuore del pacifista collettivo. Le ragioni sono diverse, l’una più surreale dell’altra. Ma al centro dell’imbarazzo assoluto provato in queste ore dai cantori del pacifismo universale, sponsored by Onu, powered by António Guterres, vi sono alcuni elementi fattuali che vale la pena mettere uno a fianco all’altro.

Il problema numero uno che ha il pacifista collettivo di fronte agli attacchi dell’Iran è che parlare di Iran per chi odia Israele è sempre piuttosto complicato. Perché farlo significherebbe dover ricordare che l’Iran, sponsored by Onu, attacca Israele con lo spirito di chi desidera che lo stato ebraico venga spazzato via dalle mappe geografiche. Perché farlo significherebbe ricordare che l’Iran, powered by António Guterres, è l’ingranaggio centrale di un asse del male che passa da Teheran, arriva fino a Hezbollah, Hamas, gli houthi, e tramite la Russia di Putin arriva fino all’Ucraina; un asse che destabilizza il mondo da 45 anni, dal giorno in cui cioè l’Iran è finito nelle mani dei fondamentalisti islamici.

Parlare di Iran, quando si odia Israele, è complicato. E non solo per l’affetto che i nemici di Israele, soprattutto a sinistra, nutrono, in giro per il mondo per l’ayatollah Khamenei, che a maggio ha ringraziato di cuore, e con affetto, gli studenti americani scesi in piazza contro lo stato ebraico, ma perché l’Iran, per i pacifisti, è uno specchio letale chiamato realtà, dove tutte le ipocrisie dei nemici di Israele emergono con forza. Condannare l’Iran, per quello che fa, per quello che rappresenta, per il terrore che alimenta, per il terrorismo che finanzia, significherebbe dover fare i conti con i fatti, e non con la propaganda, e ammettere cioè che (a) i nemici della pace nel mondo sono gli ayatollah non gli israeliani, che (b) la radice della destabilizzazione del medio oriente va ricercata non nelle origini di Israele ma nelle origini dell’islam fondamentalista e che (c) se si mettono insieme tutti i fronti aperti dall’Iran contro Israele (Libano, Yemen, Cisgiordania, Iraq, Siria, Hamas) non dovrebbe essere troppo difficile capire chi è l’aggredito e chi è l’aggressore.

E se vi chiedete perché agli occhi del pacifista collettivo, l’Iran ha lo stesso effetto che aveva nella mitologia greca lo sguardo di Medusa – pietrifica, immobilizza, paralizza – la ragione è tanto surreale quanto semplice: guardare negli occhi il mostro chiamato fondamentalismo iraniano è il modo migliore per dover ammettere chi è che in medio oriente cerca di difendere la pace dai nemici della libertà.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.