Mohammed bin Salman dell Arabia Saudita - foto Ansa

L'editoriale dell'elefantino

Contro gli ayatollah, il nuovo ordine dei "grandi sunniti" è l'unica soluzione per la pace

Giuliano Ferrara

Giordania, Egitto, Arabia Saudita. Sono paesi ambigui. Ma rappresentano l’unica alternativa esistente a grandi e piccoli paesi sciiti e alla loro logica di rivoluzionaria islamista, che cerca di realizzare un programma nucleare e si collega con il peggio delle autocrazie mondiali in un asse che, chiamatelo come volete, non è un asse del bene

I “grandi sunniti”, così li chiamava ieri qui Adriano Sofri nella sua analisi perfettamente morale, dunque errata, del Grande Medio Oriente, sono l’ambiguità che salva dal fanatismo. La Giordania è una monarchia beduina che di fronte al problema due popoli e due stati, la questione palestinese in quel paese a maggioranza palestinese, rispose con il Settembre Nero, l’eccidio dei palestinesi in rivolta e l’innesco di nuove ondate terroristiche della dirigenza allora “laica” di Arafat. Altro grande sunnita è l’Egitto, dove un colpo militare ci ha salvato dai Fratelli musulmani, una Hamas alla testa di un paese di decine di milioni di abitanti, una Hamas faraonica, restituendo il paese ai servizi che torturarono e uccisero Regeni e non si fanno processare. Poi c’è l’Arabia Saudita, che ha fatto notizia per l’orrendo delitto della sega nel consolato di Istanbul, facendo a pezzi un dissidente trattato come una spia, sono gli amici di una rete internazionale del famoso “rinascimento arabo”, che comprende anche Matteo Renzi ma non solo lui, specie se si estenda il circuito a emirati e sceiccati vari, colossi come Riad del big business mondiale, un circuito legato da decenni all’alleanza occidentale a guida americana, nonostante la famiglia Bin Laden e l’11 settembre realizzato da una maggioranza di figli del regno dei Saud, nonostante siano patrie a vario titolo del wahabismo, una ideologia cruciale dell’odio islamista e dei suoi esiti terroristi. Ambigui certo e parecchio.
 

Ma due di loro, per merito di Kissinger e Sadat e Begin, dopo il fallimento della guerra del Kippur, si risolsero a favore della stabilizzazione delle relazioni con Israele, un reciproco riconoscimento fatale e duraturo. Gli altri, trainati dall’ansia di modernizzazione e business globalizzato, carichi di soldi e investimenti, impegnati in macroprogetti tecnologici e circonfusi di un’aura di integrazione culturale nel mondo com’è e non come si vorrebbe che fosse, cercavano anche loro e cercano malgrado tutto uno sbocco di equilibrio, almeno fino al blocco temporaneo indotto dal pogrom del 7 ottobre, un colpo contro gli ebrei in quanto ebrei, contro l’umanità e contro il perfezionamento degli accordi di Abramo cosiddetti.
 

I grandi sunniti sono l’unica alternativa esistente a grandi e piccoli sciiti e alla loro logica khomeinista, cioè rivoluzionaria islamista, che cerca di realizzare un programma nucleare e si collega con il peggio delle autocrazie mondiali in un asse che, chiamatelo come volete, non è un asse del bene. Della pace. Della convivenza. Della ratifica di Israele come diritto degli ebrei all’esistenza e al rifugio politico e al futuro. Di questo parlano le alleanze e il suffragio in soldi e armamenti con Hamas a Gaza, con gli Hezbollah in Libano, con i pasdaran annidati in Siria e in Iraq, con gli houthi, con Putin e sullo sfondo con la Corea del nord e con la Cina. Molti dei nemici sunniti di questo asse malefico hanno festeggiato l’attacco a Nasrallah, hanno accompagnato il tentativo di sradicare Hamas senza battere ciglio, e controllato ogni velleità possibile della famosa piazza araba, fin qui. Il nucleare iraniano è il progetto di compimento della rivoluzione atomica del 1979, cominciata anch’essa con gesta di predoni, con ostaggi, americani quella volta in maggioranza, e proseguita nel tempo con caserme dei marines saltate in aria, con attentati e intifade varie, distruzioni di sinagoghe in giro per il mondo, eccidi di dissidenti e omosessuali e donne nelle piccole patrie e grandi dello sciitismo rivoluzionario e della sua giustizia esemplare. L’analisi morale si presta a molte controversie.
 

Ma l’analisi politica dice che bisogna scegliere, e che il perno dell’escalation famosa è l’atomica in mano ai preti fanatici di Teheran, nient’altro che questo. E che lì, dove il dente duole molto, bisognerebbe battere molto, Biden o non Biden. Bisogna scegliere, appunto. O si torna al profetismo di Foucault su Khomeini come alternativa all’occidente del denaro e del diavolo, dopo il Vietnam e dopo l’inizio della dissoluzione progressiva dell’Unione sovietica, oppure bisogna considerare che i quasi due decenni della guida israeliana di Netanyahu e gli avvenimenti recenti e in corso vanno giudicati alla luce di questo contrasto: il diavolo integrabile nell’occidente del denaro e dei consumi e della modernizzazione tecnologica oppure l’acqua santa e l’acqua pesante della bomba atomica in mano ai rivoluzionari nichilisti dell’islamismo antisemita. Per un futuro di pace, per usare una parola grossa e abusata, è più affidabile la controrivoluzione rinascimentale dei grandi sunniti della rivoluzione oscurantista dei grandi ayatollah.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.