“New order” in medio oriente

Khamenei deve proiettare un'immagine di forza, ma sa che l'Iran è in una posizione pericolosa

Cecilia Sala

“Non esiteremo a rispondere ancora”, ha detto la Guida suprema, che oggi ha guidato la preghiera del venerdì a Teheran, un evento molto raro. Ma l’Iran non vuole una guerra totale con Israele, anche perché non se la può permettere. E ora teme il cambio di strategia di Tel Aviv

“Quello che hanno fatto le nostre Forze armate (lanciando centottanta missili contro lo stato ebraico martedì sera) è stata la punizione minore che si potesse infliggere al regime israeliano per le sue aggressioni”, ha detto la Guida suprema dell’Iran Ali Khamenei. Il leader della Repubblica islamica parlava da Mosalla, a Teheran, per la preghiera del venerdì. Erano quasi vent’anni che Khamenei non guidava la preghiera di persona, con l’eccezione della settimana in cui un drone americano uccise il generale Qassem Suleimani – l’architetto del sedicente Asse della resistenza – all’inizio del 2020. “Non esiteremo a rispondere ancora se sarà necessario, anzi saremo rapidi nel farlo”, ha continuato la Guida suprema, con un tono duro, provocatorio, per nulla intimidito. Khamenei vuole – deve – proiettare un’immagine di forza minacciosa, ma è consapevole che la Repubblica islamica si trova in una posizione pericolosa, che alcuni esponenti delle Forze di sicurezza iraniane, protetti dall’anonimato, non negano: “Noi non abbiamo una fottuta aeronautica militare… non so davvero cosa abbiano in testa (i vertici)”, ha detto una fonte all’analista iraniano che vive negli Stati Uniti Arash Azizi.

 

Il ministro degli Esteri della Repubblica islamica, Abbas Araghchi, sostiene che per quanto riguarda l’Iran la faccenda si può considerare conclusa con il bombardamento contro le basi militari e il quartier generale del Mossad di martedì sera, che equivale a dire che l’Iran non vuole una guerra totale con Israele, anche perché non se la può permettere. Si accontenta dell’operazione “Vera promessa numero due”, lanciata da uno dei generali più audaci della Repubblica islamica, il capo delle Forze aeree dei pasdaran Amir Ali Hajizadeh, lo stesso che aveva insistito ad aprile per ottenere l’autorizzazione al primo attacco dal territorio iraniano contro quello israeliano della storia: l’operazione Vera promessa numero uno.

 

Ma le aspirazioni del ministro Araghchi non tengono conto dei calcoli dello stato ebraico che, dopo aver piegato Hezbollah in due settimane, considera questo un momento propizio per “cambiare la faccia al medio oriente” e affondare il colpo contro l’Asse della resistenza in una fase in cui è molto indebolito. Martedì notte il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato: “L’Iran ha commesso un grande errore e ora ne pagherà le conseguenze”. Domenica sera aveva diffuso un video in cui alludeva a un regime change a Teheran e diceva: “L’Iran sarà libero (dal regime degli ayatollah) molto prima di quanto tante persone non credano. A quel punto noi (gli israeliani) e il popolo iraniano avremo la pace, e in Iran ci saranno grandi investimenti internazionali…”.

L’ex primo ministro dello stato ebraico Naftali Bennett ha invitato Netanyahu a bombardare non soltanto per causare un danno specifico, ma perché l’attacco “potrebbe creare le condizioni” per una sollevazione degli iraniani che “faccia finalmente cadere il regime”. Bennett ha aggiunto: “In cinquant’anni Israele non ha mai avuto un’occasione migliore di questa per trasformare radicalmente il medio oriente”.

   

Alcuni funzionari israeliani hanno detto al New York Times di aver già spiegato alle loro controparti americane che i leader dello stato ebraico, oggi, ritengono di aver sbagliato ad ascoltare la Casa Bianca all’epoca del primo bombardamento ad aprile, quando li aveva invitati a una rappresaglia molto misurata. Gli stessi funzionari dicono che questa volta la risposta contro l’Iran sarà diversa e più dura. Israele potrebbe prendere di mira le infrastrutture della produzione petrolifera iraniana – per esempio la raffineria di Abadan, che da sola produce circa un quarto del carburante consumato ogni giorno nel paese – e le basi militari da cui è partito l’attacco missilistico di martedì. Sima Shine, una ex ufficiale dell’intelligence israeliana che si è sempre occupata di Iran, ha detto al New York Times che “dopo il 7 ottobre, siamo pronti a fare ciò che non abbiamo mai fatto in passato, perché non possiamo più vivere sotto attacco da tutti i fronti”, e che non averlo capito “fa parte di un errore di calcolo che stanno facendo un po’ tutti i nostri nemici in giro per la regione”. La parola chiave che, dalla fine di settembre, si sente ripetere più spesso in Israele non è “lotta al terrorismo” ma “New order” in medio oriente. Nel 2024 l’Iran ha messo nel cassetto la dottrina della “pazienza strategica” e l’equilibrio “né pace né guerra” che per quarantacinque anni avevano imposto di non attaccare mai Israele in modo diretto. Il cambio di strategia dell’Iran è stato rischioso, perché ha dato un pretesto allo stato ebraico per rivedere la propria strategia sulla Repubblica islamica.