reportage

L'intelligence, primo pilastro della deterrenza di Israele e incubo di Teheran che Hamas inizia a temere

Micol Flammini

Chi sa di più, vince. Il pilastro israeliano per mettere a nudo i nemici.  Ora anche il cerchio attorno a Sinwar si stringe

Tel Aviv, dalla nostra inviata. Chi sa di più, prevale. Il principio della sicurezza israeliana è sempre stato basato sull’idea che il primo elemento di deterrenza non è la forza militare, ma è tutto ciò che l’intelligence israeliana sa sui suoi nemici. Nelle ultime settimane, l’esercito e l’intelligence dello stato ebraico hanno dimostrato di sapere molto, di conoscere i nascondigli, i depositi di armi, le vie di fuga, i corridoi di rifornimento, i canali di comunicazione; e adesso che il regime iraniano aspetta una risposta ai centottanta missili balistici lanciati contro il territorio israeliano martedì sera, sa che Israele conserva una mappa dei suoi punti deboli.  Lo stato ebraico e gli Stati Uniti sapevano  che l’attacco di Teheran sarebbe stato diverso da quello di aprile, che  sarebbe stato usato un numero massiccio di missili balistici e che sarebbe iniziato dopo le 19, ora israeliana: l’esposizione di tutti questi dettagli ha messo il regime iraniano in uno stato di psicosi. 

 

Mercoledì, a Damasco, nel quartiere Mezzeh, durante un attacco aereo sono stati uccisi Hassan Jafar Qassir e suo fratello Muhammad, il primo era il genero di Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah eliminato venerdì scorso, il secondo era il capo dell’Unità 4.400 di Hezbollah, che ha il compito di trasferire le armi dall’Iran in Libano, e per poter arrivare a lui, gli Stati Uniti offrirono una ricompensa a tutti coloro che condividevano informazioni utili sul suo conto. Tutti e due i fratelli erano i membri di una famiglia reale del terrore da quando il diciassettenne Ahmad, anche lui un Qassir, si era  lanciato con l’auto in corsa imbottita di esplosivo contro una base israeliana a Tiro e segnò l’inizio della storia degli attentati suicidi in Libano, tanto che il giorno della sua morte viene commemorato da Hezbollah come il “giorno dei martiri”. L’azione di Ahmad, “il primo dei martiri”, divenne storica per il gruppo e ricevette l’approvazione di Khomeini, con la quale venne apposto un sigillo religioso su di lui e su tutta la famiglia Qassir: Muhammad e Hassan fecero carriera molto rapidamente dentro a Hezbollah, bastava dire che erano dei Qassir, i fratelli di Ahmad. I due, con il tempo, divennero figure di riferimento per i contatti con il regime iraniano e infatti mercoledì a Damasco si trovavano in un edificio frequentato anche dai pasdaran e usato per le comunicazioni tra Hezbollah e l’Iran.

 

Per Israele, l’eliminazione dei Qassir contribuisce a togliere al gruppo libanese quel che rimane della sua catena di comando, a privarlo della sua capacità riorganizzativa e anche a parlare all’Iran, che adesso aspetta la risposta di Israele e la aspetta nudo, con una difesa aerea che secondo gli esperti è rudimentale e sapendo che lo stato ebraico legge dentro alla Repubblica islamica, dopo aver accumulato informazioni per anni, curando con molta probabilità una rete di spie locali, appoggiandosi alla resistenza contro il regime, osservando la costruzione dei piani armati degli ayatollah con tanta meticolosità da aver distolto l’attenzione dalla minaccia che si presentava a sud, nella Striscia di Gaza. 
Il 7 ottobre, quando i commandos  di Hamas, del Jihad islamico e cittadini armati non affiliati con nessuno dei due gruppi hanno rotto la divisione che separava Israele dalla Striscia di Gaza e sono entrati nei kibbutz per distruggere, uccidere e rapire, il fallimento di Israele nel proteggere i suoi  cittadini è stato prima di tutto di intelligence: Hamas ha prevalso, conosceva nel dettaglio la disposizione delle case nei kibbutz, i componenti di ogni famiglia; Israele, dei piani di Hamas, non aveva percepito nulla.

 

Il 7 ottobre Hamas ha aperto quella che gli israeliani definiscono la crisi più dura dalla fondazione dello stato, i cittadini si sono ritrovati soli, senza più credere non soltanto nel loro esercito, ma anche nella capacità della loro intelligence: il primo pilastro della deterrenza. Anche nella Striscia di Gaza, però, il paradigma è cambiato: nelle prime fasi della guerra, Tsahal sapeva poco di Hamas, con il passare del tempo ha iniziato ad ammassare informazioni e anche la leadership di Hamas, come quella di Hezbollah, si fa più sottile. Dopo aver eliminato il capo di quella che viene chiamata ala militare, il ricercatissimo Mohammed Deif, e il più in vista di quella che viene chiamata l’ala politica, Ismail Haniyeh – ucciso in un palazzo dei pasdaran a Teheran – e altri, l’esercito ha confermato che anche Rawhi Mushtaha è stato ucciso. Mushtaha era un collaboratore strettissimo di Sinwar, i due avevano condiviso un lungo periodo di detenzione dentro a una prigione israeliana fino alla loro liberazione nell’ambito dell’accordo Shalit, e avevano incrementato il meccanismo progettato per smascherare e uccidere i collaboratori di Israele. Anche il cerchio attorno a Sinwar si stringe e il capo di Hamas, che ha messo sotto la sua tutela sia la parte militare sia quella politica, è rimasto con suo fratello Muhammad e altri comandanti.

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)