L'Ue si spacca sui dazi alla Cina. È in gioco la politica estera economica di Draghi
Nonostante l'opposizione di Berlino, che teme le rappresaglie di Pechino, la Commissione trova il sostegno, anche da Italia e Francia, per contrastare i sussidi cinesi (12 gli astenuti). Cresce la pressione tedesca su von der Leyen, mentre l'Europa rischia una guerra commerciale
Bruxelles. Nonostante l’opposizione della Germania, la Commissione europea ha trovato il sostegno di un numero di stati membri sufficiente per approvare i dazi anti sussidi sulle auto elettriche importate dalla Cina. Ieri gli stati membri hanno votato. Il governo di Berlino non è riuscito a trovare la maggioranza qualificata necessaria a bloccare i dazi. La decisione non è ancora stata presa. La Commissione di Ursula von der Leyen dice che i negoziati con Pechino proseguono alla ricerca di una soluzione concordata. Una prima scadenza è il 31 ottobre, quando i dazi potrebbero entrare in vigore. Ma un compromesso su impegni sui prezzi minimi può essere trovato anche oltre quella data. Dal braccio di ferro tra la Cina e la Commissione, e forse ancor di più da quello tra Berlino e Bruxelles, dipende la capacità dell’Ue di dotarsi di una politica estera economica, una delle raccomandazioni del rapporto di Mario Draghi. L’Ue è pronta a difendersi di fronte ai ricatti cinesi e a mostrare i muscoli, anche quando il suo principale stato membro è pronto a cedere alla coercizione economica per interessi di breve periodo?
L’inchiesta della Commissione, lanciata un anno fa, ha rivelato che il governo cinese fornisce sussidi a tutta la catena del valore dei veicoli elettrici a batteria: dall’estrazione del litio fino ai porti dove vengono sbarcate le automobili in Europa, oltre agli aiuti diretti ai produttori. Il sistema permette ai costruttori in Cina – compresi quelli europei – di vendere a prezzi più bassi. E’ una violazione delle regole dell’Omc. Secondo la Commissione, c’è un rischio imminente di danni irreparabili per il settore automotive in Europa e per milioni di posti di lavoro. Ieri dieci stati membri – tra cui Italia e Francia – hanno votato a favore dei dazi. Altri dodici – tra cui la Spagna – si sono astenuti. La Germania ha votato contro insieme a Ungheria, Slovenia, Slovacchia e Malta. Con un’economia in difficoltà, il cancelliere Olaf Scholz non vuole rischiare le rappresaglie di Pechino. “La Cina prenderà tutte le misure per salvaguardare con fermezza gli interessi delle imprese cinesi”, ha detto ieri il ministro del Commercio cinese. Il primo ministro, Viktor Orbán, che nell’Ue opera come cavallo di Troia degli interessi cinesi, ha accusato la Commissione di volere una “guerra fredda economica”. La Germania non è l’unica che potrebbe rimetterci da una guerra commerciale tra Ue e Cina. Pechino ha preannunciato (ma non ancora imposto) dazi contro il cognac della Francia, i prodotti lattiero caseari dell’Irlanda e la carne di maiale della Spagna. Parigi e Dublino hanno votato a favore. Madrid ha cambiato posizione – in un altro voto a luglio si era espressa a favore dei dazi sulle auto elettriche – ma non si è allineata a Berlino.
Nessuno vuole una guerra commerciale. Anche il ministro Adolfo Urso ha auspicato una “soluzione condivisa”. Tuttavia la linea dura della Commissione sta portando frutti, gli impegni sui prezzi dei produttori cinesi diventano più consistenti a ogni round di negoziati. Nelle prossime settimane Berlino aumenterà ulteriormente la pressione su von der Leyen per accettare un compromesso a qualsiasi costo. Il ministro delle Finanze, Christian Lindner, ha chiesto al leader della Cdu, Friedrich Merz, di “spiegare alla sua amica di partito cosa è in gioco”. Se cederà, von der Leyen seppellirà la raccomandazione di Draghi di dotare l’Ue di una politica estera economica per difendere i propri interessi. Paradossalmente l’avvertimento a von der Leyen e Scholz è arrivato dai Verdi della coalizione tedesca: “L’Europa è forte insieme, ma divisa diventa il giocattolo degli altri”, hanno detto Robert Habeck e Annalena Baerbock.