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l'editoriale del direttore

Prendere sul serio le minacce dei nemici della libertà. Gran libro di Bernard-Henri Lévy

Claudio Cerasa

Così Israele e Kyiv hanno insegnato all’occidente come prendere sul serio le minacce di due regimi sanguinari. Cosa insegna l'ultimo saggio del filosofo e giornalista francese

Deterrenza e democrazia: forse qualche buona notizia c’è. Bernard-Henri Lévy ha scritto un libro ambizioso, e coraggioso, su un tema che ci sta particolarmente a cuore. Il libro, pubblicato dalla Nave di Teseo, si intitola, malinconicamente, “La solitudine di Israele”. Ma il viaggio di BHL è tutto tranne che mesto, è tutto tranne che sfiduciato, è tutto tranne che smarrito, ed è un appello fiero, forte, tonante di chi prova a tenere gli occhi aperti di fronte alla tragedia quotidiana vissuta da Israele, ben prima del 7 ottobre. BHL ricorda che quello che abbiamo visto prima e dopo il 7 ottobre non nasce da una “reazione”, dall’idea cioè che vi siano dei vicini di casa di Israele che in questi anni si sono sentiti schiacciati dalla potenza di fuoco dello stato ebraico. Nasce da un’azione precisa. Nasce da un’ideologia precisa. Nasce dalla volontà, portata avanti da decenni da parte dei regimi islamisti che confinano con Israele, di spazzare via l’unica democrazia viva del medio oriente. E’ dal 1948, ricorda  BHL, che vi sono autorità religiose e politiche che invitano a “combattere per ogni centimetro del loro paese”, a versare “il loro sangue per la propria terra fino all’ultima goccia”, a condurre “una guerra di sterminio”, un “immenso massacro”. E’ da decenni che Israele è minacciato non per quello che ha fatto ma per quello che rappresenta a causa di un antisionismo dietro il quale, scrive  BHL, si nasconde “il più antico di tutti gli odi, quello che insegue gli ebrei dalla Babilonia alla Persia”.

 

Ricorda Bernard-Henri Lévy: “Questa guerra è una guerra atroce che gli israeliani non hanno voluto. Il loro è un nemico terribile il cui desiderio proclamato è quello di poter mostrare non solo il maggior numero possibile di morti ebrei ma, in quello stesso campo, il maggior numero possibile di martiri”. La forza del libro di  BHL non è però solo quella di chiamare le cose con il loro nome, di usare il linguaggio duro della verità, ma è anche quella di trovare un modo efficace, e non rituale, per provare a mettere insieme due grandi conflitti al centro dei quali vi è il tentativo di difendere due storie e due modelli di libertà. Israele e l’Ucraina – ha detto BHL,  intervistato dall’ex direttore di Repubblica Maurizio Molinari (e speriamo che il nuovo direttore di Repubblica, Mario Orfeo, auguri di cuore, abbia su Israele la stessa sensibilità del suo predecessore) – combattono la stessa guerra, hanno esattamente gli stessi nemici, e chiunque vada in Ucraina si accorgerà con facilità di avere sopra la propria testa i droni iraniani e di avere di fronte a sé la stessa internazionale del terrore che combatte in medio oriente contro Israele”.

Perdere queste guerre – dice ancora BHL – significherebbe dare un colpo non letale ma certamente epocale a tutti coloro che difendono la democrazia e la libertà nel mondo. E tra le righe del suo saggio, lo scrittore francese arriva a lanciare un appello che potremmo provare a sintetizzare così: cari amici, cari non amici, quando un dittatore parla, quando un tagliagole parla, quando un regime illiberale indica un obiettivo, smettetela di fischiettare e imparate a prenderlo sul serio. E dunque, non prendiamoci in giro: si sapeva tutto di ciò che Vladimir Putin voleva fare dell’Ucraina, del suo odio ossessivo per l’occidente, “della somiglianza straordinaria tra l’idea di Grande Russia di Putin e il Lebensraum hitleriano”. E sarebbe bastato “aprire gli occhi per capire che il Cremlino sarebbe passato all’azione lanciandosi in questa avventura insensata”. E lo stesso, in fondo, è capitato a Israele, il 7 ottobre, quando i terroristi hanno fatto quello che minacciavano di fare da tempo: colpire Israele, colpirlo al cuore, provare a rompere il patto di fiducia su cui si fonda il rapporto tra lo stato israeliano e i suoi cittadini. “E’ l’eterno errore delle democrazie”, dice BHL, “che messe di fronte all’impensabile barbarie sanno ma non credono, hanno i dati ma non traggono le conclusioni”. Per vincere la guerra, quella di oggi e quelle di domani, gli amici delle democrazie devono dunque imparare a chiamare le cose con il loro nome, devono imparare a difendere senza paura chi combatte i terroristi, prima di tutto quelli foraggiati da una centrale del terrore chiamata Iran, e devono imparare soprattutto a non fischiettare quando un dittatore, o un tagliagole, minaccia di colpire una democrazia per provare a far fare all’asse delle canaglie un passo in avanti nella lotta spietata contro chi difende le società aperte. Non è retorica, è realtà, ed è l’unico modo per evitare che chi difende la libertà, chi difende la democrazia, si ritrovi nella solitudine descritta da BHL, dove gli aggrediti diventano aggressori e dove gli aggressori diventano aggrediti. Viva Bernard-Henri Lévy.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.