Blocchi di guerra

I virtuosi del sostegno all'Ucraina e le “macchie di buio” che restano sui soldati al fronte

Paola Peduzzi

Mosca ha strutturato la propria economia per una guerra lunga e poco viene fatto per colpire la catena di approvvigionamento bellico che sostiene la Russia. I nordcoreani nel Donbas

Un ex studente della Kyiv School of Economics ha raccontato il ritiro della brigata in cui si era arruolato, la 72esima, che combatteva a Vuhledar, nel Donbas, l’ultima, spietata conquista dell’esercito di Vladimir Putin – un cumulo di macerie. “Il ritiro è stato brutale – scrive – Dopo giorni di agonia nella città assediata, i soldati erano stremati. La mattina del ritiro, non tutti avevano le forze per muoversi, alcuni sono rimasti, sapendo che sarebbero morti, per coprire quelli che si ritiravano”. Tymofiy Mylovanov, il direttore dell’università, ha pubblicato in uno dei suoi indispensabili thread su X tutto il testo dell’ex studente, “nato a Kyiv ma forgiato di nuovo nei campi e negli scantinati di Vuhledar”, che racconta i rischi che i soldati corrono ora, sotto i droni russi, la polvere sul viso che non va mai via, “macchiati dal buio che nessun barbiere e nessun bagno può lavare via”. 

 

Il ritiro da Vuhledar questa settimana rappresenta una piccola e feroce sopraffazione, che si accompagna a una serie di video difficili da guardare di esecuzioni e di torture dei soldati ucraini da parte dei russi: “La Russia ha trasformato l’Ucraina in un laboratorio di morte – scrive lo storico Oleksandr Polianichev – in cui sperimenta atti osceni di violenza, che oltrepassano i confini della nostra immaginazione”. Intanto continuano i bombardamenti sulle città, sulle infrastrutture: è la campagna di preparazione all’inverno, l’abbiamo già vista, ma si fa sempre più straziante. 
Nel racconto che si fa dell’Ucraina nei media occidentali la battaglia è quasi scomparsa: si segnalano soltanto dettagli crudi – come i video delle esecuzioni – ma la quotidianità della guerra, i morti ogni giorno, le vite esauste non ci sono più. E’ anche per questo, per questa abitudine che s’è fatta indifferenza, che il dibattito è sempre sui soldi, sui negoziati, sui compromessi che andranno accettati per porre fine al conflitto. E’ anche per questo che gli ucraini dicono: venite a vedere da cosa dobbiamo difenderci, perché molte cautele dottrinarie cadrebbero immediatamente. Ci sono leader e paesi che anche senza vedere sanno. La Danimarca, che è diventata il primo contribuente per la difesa ucraina in rapporto al proprio pil (al secondo posto c’è l’Estonia e al terzo la Lituania), ha pubblicato un video che si apre con la celebrazione del mito della felicità danese e una scritta rossa: “Uno dei segreti della felicità è la solidarietà”. Il governo di Copenaghen ha donato tutta la sua artiglieria all’Ucraina, guida la coalizione che consegna gli F-16 e spende il 2 per cento del pil per la sicurezza.  

 

Questa settimana è arrivato il sistema di difesa aerea Patriot promesso dalla Romania e il nuovo segretario generale della Nato, l’olandese Mark Rutte, è andato in visita a Kyiv, due giorni dopo l’investitura: ha ribadito che l’Alleanza farà tutto quello che è necessario perché “l’Ucraina prevalga” e che cercherà di accelerare i tempi, visto che le forniture occidentali sono sempre un passo indietro (anche più di uno) rispetto alle esigenze della guerra. Tutte le discussioni riguardo all’utilizzo di queste armi in territorio russo hanno contribuito a creare un altro cortocircuito, invece di festeggiare le forniture ci si chiede in che modo verranno utilizzate e i finti pacifisti si intromettono dicendo: se sospendiamo noi l’invio delle armi, l’intensità della guerra diminuirà e si arriverà a un cessate il fuoco. Nell’equazione – e nelle discussioni pubbliche – manca sempre la parte che conta, cioè le armi di chi attacca. Ieri il Kyiv Post ha pubblicato un articolo in esclusiva in cui diceva che in un bombardamento ucraino del 3 ottobre in uno dei territori occupati sono state uccise 20 persone, “inclusi sei funzionari della Corea del nord che erano andati a incontrare le loro controparti russe”, e altri tre nordcoreani sono stati feriti. Secondo alcuni canali telegram russi, poco prima dei missili, i russi stavano mostrando alla delegazione da Pyongyang come viene fatta la formazione per le operazioni d’assalto. 

 


   Le alleanze della Russia si consolidano senza frizioni e senza eccessivi rallentamenti, e questo poi ha un impatto su quel che avviene sul campo di battaglia. Mosca ha strutturato la propria economia per una guerra lunga e anche se molti report dicono che le risorse sul fronte non sono più così abbondanti, poco viene fatto per colpire la catena di approvvigionamento bellico – che comprende armi ma anche capitale umano – che sostiene la Russia. E’ in questo scostamento di tempi e di risolutezza che si consuma gran parte della guerra, oltre che tra le macerie delle piccole conquiste e nelle macchie di buio sui soldati ucraini.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi