Sostenitori di Saied mostrano una sua locandina elettorale a Tunisi (foto Getty)

Panico a Cartagine

Saied verso la vittoria alle elezioni e la Tunisia è al collasso. Ma l'Ue applaude

Luca Gambardella

Domenica il voto. Il dittatore, dopo avere silenziato l'opposizione, si appresta a ricevere i complimenti dei suoi partner europei, in nome del crollo del flusso dei migranti

Kais Saied, colui che in pochi anni ha svelato l’illusione del cammino democratico in Tunisia, si avvia a essere riconfermato al voto di domenica. Una vittoria di Pirro, dicono dall’opposizione, rivendicando i dati che emergono dai sondaggi che il novello dittatore di Tunisi occulta per paura di fare sapere quanto in basso sia il livello del consenso nei suoi confronti. C’è però chi ha potuto visionare questi numeri – tra questi, gli analisti di Crisis Group – che parlano di uno scenario pericoloso per Saied, che si attesterebbe intorno al 20-25 per cento dei consensi, alla pari se non al di sotto degli altri due contendenti, quelli che il presidente ha “selezionato” e che sono stati ammessi  alla sfida elettorale, facendone fuori altri 17 appellandosi a cavilli vari. Ma la scarsa tenuta di Saied non va fraintesa come una buona notizia per chi ha a cuore i diritti umani o il pluralismo democratico. In linea con il ruolo da dittatore che Saied si è ritagliato, le basse percentuali non basteranno a farlo perdere. “Impossibile che si lasci sconfiggere”, dice al Foglio Ghazi Ben Ahmed, che dirige un think tank, il Mediterranean Development Initiative. “Se non avesse tanta paura non farebbe ciò che sta facendo, reprimendo l’opposizione. C’è il panico a Cartagine”. Buona parte dei consensi che aveva raccolto nel 2019, quando si insediò come presidente, l’ha perduta sotto i colpi della sua stessa repressione, fatta di arresti sommari e censura, alimentati da toni populisti e  teorie del complotto – le sue preferite sono quelle di natura giudaica. Il campanello di allarme è suonato ad agosto del 2023, quando alle elezioni parlamentari si era presentato alle urne solo l’11 per cento degli aventi diritto, il record negativo in assoluto. Una disaffezione che Saied rischia di vedere replicata anche in questa tornata elettorale.

Da tempo, alcune sigle sindacali, quella dei lavoratori per esempio ma anche del settore giudiziario e dei giornalisti, hanno manifestato per le strade di Tunisi. Il sostegno nei  confronti di Saied si concentra nelle zone rurali ma il tasso di povertà è tornato a crescere oltre il 17 per cento e comincia a interessare anche quelle urbanizzate. Per Ben Ahmed, “a Tunisi, Sfax e Sousse si teme una situazione esplosiva. Inflazione, debito estero, disoccupazione. E poi c’è la crescita economica intorno allo zero per cento”.

A sfidare Saied domenica sono rimasti Ayachi Zammel, un uomo d’affari semi sconosciuto, e Zouhair Maghzaoui, leader del partito nazionalista Echaab ed ex sostenitore di Saied. La ghigliottina del dittatore però non si è fermata e lo scorso 18 settembre Zammel è stato arrestato. Resta comunque in corsa, secondo la legge tunisina, ma l’opera di discredito è compiuta. Persino le sentenze che riabilitavano le candidature di alcuni sfidanti sono state stracciate e disapplicate dal governo. L’eurodeputato dei Verdi Mounir Satouri l’ha definito “un colpo di stato” e ha inviato alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, una lettera firmata con altri 51 parlamentari affinché esorti Saied a rispettare il processo democratico. 

Ma a Bruxelles c’è anche chi invece esorta i tunisini a votare per Saied. Fra questi, il francese Thierry Mariani del Rassemblement national, che ha pubblicato un video in cui dice che “dopo aver posto fine al caos degli islamisti, Saied garantisce una cooperazione essenziale contro l’immigrazione clandestina”. Già, l’immigrazione è l’asso nella manica con cui il dittatore tunisino continua a tenere sotto scacco l’Ue. I migranti che non arrivano sulle nostre coste, come previsto dagli accordi conclusi con Meloni e von Der Leyen, sono gettati altrove, nel deserto. Il dossier è legato a quello degli aiuti economici promessi dall’Ue. “Se crolla la Tunisia, finisce in mano alla Russia e alla Cina”, ripete il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Una retorica che non si sposa con la realtà, secondo Arturo Varvelli, dell’European Center on Foreign Relations. “Una retorica frequente, ma non supportata dai fatti per ora”, spiega al Foglio. “L’impressione però è che per l’Ue non ci siano alternative a Saied e mi aspetto che prosegua il cosiddetto business as usual fra Bruxelles e Tunisi”.  

“Finora l’Ue ha dato alla Tunisia solo le briciole. Saied si è fatto ingannare, pensava che Meloni ottenesse lo sblocco del prestito del Fondo monetario internazionale. Ma gli americani hanno bloccato tutto, senza le necessarie riforme”, dice Ben Ahmed, che in Francia ha da poco pubblicato un libro, “Echi dalla Tunisia: populismo, transizione e speranze di democrazia”. Sulla copertina, Saied in primo piano è osservato da lontano dal volto di Meloni, il suo grande sponsor occidentale. 

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.