I trafficanti russi e i missili ai proxy dell'Iran

Giulia Pompili

Il russo Viktor Bout ora vende armamenti agli houthi, che lanciano missili su Israele

C’è un uomo che meglio di chiunque altro rappresenta il filo sottile che unisce l’Iran e i suoi proxy, la guerra di Putin contro l’Ucraina e la crisi in medio oriente. E’ Viktor Bout, prezioso alleato del capo del Cremlino e uno tra i più famosi trafficanti di armi. Arrestato nel 2008, Bout era stato liberato nel 2022 nello scambio di prigionieri fra America e Russia con la star del basket americano Brittney Griner,  detenuta dalla Russia, e dopo una breve parentesi politica, secondo il Wall Street Journal, adesso  sarebbe tornato a occuparsi di armi. E uno dei suoi primi clienti sarebbe il gruppo yemenita degli houthi. Un funzionario che lavora nella sicurezza europea e altre fonti anonime hanno detto al quotidiano americano che ad agosto, quando una delegazione di houthi è atterrata a Mosca per parlare di affari, avrebbe incontrato proprio Viktor Bout. L’episodio mette in luce una rete di connessioni inquietante.

 

Ieri pomeriggio le Forze armate israeliane hanno intercettato un missile balistico lanciato dallo Yemen. Era già successo (l’ultima volta il 15 settembre scorso) che dallo Yemen, per gran parte controllato dal gruppo sciita degli houthi, alleato di Hezbollah, fossero partiti attacchi missilistici contro Israele. Ma il business principale degli houthi è in realtà il controllo delle acque: l’altro ieri il gruppo terroristico ha dichiarato che da un anno a questa parte ha attaccato “193 navi legate a Israele, Stati Uniti e Regno Unito” e ha lanciato “più di mille missili e droni nelle sue operazioni di sostegno di Gaza”. Sempre ieri, poche ore dopo la pubblicazione dell’esclusiva da parte del Wall Street Journal – smentita in una dichiarazione alla Tass dallo stesso Bout – il Comando centrale delle Forze armate americane ha annunciato di aver bombardato 15 obiettivi militari degli houthi sul territorio yemenita.

 

Secondo le informazioni raccolte dal Wall Street Journal, Bout avrebbe negoziato con due rappresentanti degli houthi la vendita di armi automatiche del tipo Ak-47 ma anche di missili anticarro Kornet e antiaereo – gli stessi che gli houthi potrebbero usare per assaltare le navi occidentali nel Mar Rosso. La consegna potrebbe iniziare già nelle prossime settimane, e non è chiaro se l’accordo con il gruppo yemenita sia stato fatto da Bout per conto del Cremlino o semplicemente con la sua tacita approvazione. Quel che è certo, è che le armi russe potrebbero presto finire nelle mani dei terroristi che con le loro azioni hanno già cambiato il trasporto navale internazionale. Ed è difficile non pensare ai casi che riguardano anche l’Italia: quello di Artem Uss, il trafficante russo arrestato a Milano nell’ottobre del 2022 e poi cinque mesi dopo fuggito in Russia mentre aspettava  che il governo decidesse dove estradarlo, se in America o in Russia, e quello di Aleksandr Korshunov, ufficiale dei servizi russi arrestato in Italia nel 2019 e che il ministero della Giustizia, all’epoca guidato da Alfonso Bonafede, decise di estradare in Russia nonostante una richiesta fosse arrivata anche dall’America. Né Uss né Korshunov sono mai stati processati dalla Russia e forse, come Bout, torneranno a fare il loro lavoro: armare i terroristi.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.