Nel Regno Unito

I Tory sono a caccia di un leader e non sanno a quale ex premier ispirarsi

Cristina Marconi

Il partito conservatore sta attraversando un momento di incertezza nella corsa alla leadership, con Tom Tugendhat eliminato e tre candidati ancora in gara: James Cleverley, Robert Jenrick e Kemi Badenoch. E a pesare sono anche le ombre del memoir di Boris Johnson

La formula “David Cameron revival” non sta funzionando granché, e Tom Tugendhat è il terzo candidato alla guida dei conservatori a essere stato eliminato ieri: ex militare, ex ministro per la sicurezza, pur senza grande esperienza ha cercato di presentarsi come un moderato in politica interna e falco in politica estera, fiero di essere stato sanzionato personalmente da Cina, Russia e Iran. La sua sconfitta era nell’aria, mentre per oggi, quando un altro dei tre candidati rimasti verrà escluso dal ballottaggio di fine mese, l’esito è meno chiaro. Difficile capire quali siano gli orientamenti del popolo conservatore, reduce da una sconfitta elettorale monumentale, vero, ma anche euforizzato dall’andamento zoppicante di Keir Starmer nei primi cento giorni a Downing Street. In pista restano James Cleverley, che a questo punto è l’unico a detenere il brand dell’affidabilità e che ieri ha registrato un nettissimo aumento, e i due pirotecnici Robert Jenrick e Kemi Badenoch, quest’ultima partita come favorita ma incline alla polemica e alla gaffe strategica e per questo, forse, troppo vicina a una stagione politica per la quale potrebbe non esserci più appetito.
 

La pubblicazione del memoir di Boris Johnson, Unleashed, “sguinzagliato”, sta risvegliando vividi ricordi di quella stagione, rievocata nel dettaglio e con piglio autoassolutorio: la citazione in epigrafe scelta dall’ex primo ministro è “Hasta la Vista, Baby”, pronunciata da Arnold Schwarzenegger in Terminator 2 - Il giorno del giudizio. Cleverley, con mamma del Sierra Leone, vuole rispolverare il piano di spedire in Ruanda i richiedenti asilo, promette di abbassare le tasse e di limitare la presenza statale, di aumentare la spesa militare e di migliorare la sicurezza. Lavorava con Boris, è sopravvissuto a Boris, è amato e rispettato da tutti ma è un oratore soporifero e non possiede  quella vena eccentrica a cui ultimamente il partito è sembrato molto affezionato. Forse è un bene – “Sono emozionato di continuare a diffondere un messaggio conservatore positivo”, ha detto – e infatti ieri è apparso in nettissimo recupero rispetto all’ultima votazione, da 21 a 39 preferenze tra i deputati. Poi c’è Jenrick, il candidato di destra, quello che più di tutti corteggia gli elettori di Reform UK, e che vuole staccarsi anche dal vincolo della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, oltre a trovare il piano Ruanda non abbastanza radicale. Era sempre in testa e invece ieri è passato da 33 a 31 voti, anche lui si sentiva molto Cameron ma per ora il favoloso balzo fatto nel 2005 dall’ex premier, allora giovanissimo, non sembra sul punto di ripetersi.
 

Kemi Badenoch è ultima, ma ha guadagnato due voti, salendo a 30, e indubbiamente, come ha sottolineato la sua squadra, è quella con la “star quality”, con il non-so-che necessario per farsi sentire: “Rinnovamento 2030” è la sua missione, e secondo lo Spectator lei è la scommessa che i Tory non devono perdersi, anche perché è quella che parla meglio e la politica più energica, anche se dice cose assurde tipo che gli assegni di maternità sono eccessivi. Alcuni sono ancora terrorizzati dall’effetto Liz Truss e dal rischio di trovarsi un’altra personalità senza freni né reale sostanza. La quarantaquattrenne di origine nigeriana non ha molta esperienza, ma sa come farsi notare. Le sue battaglie sono principalmente legate alla cultura woke, di cui è acerrima nemica, e al libero mercato, di cui è fan. Dice cose come “il 10 per cento dei funzionari di stato dovrebbe essere in carcere” per aver rivelato segreti d’ufficio e il controllo dell’immigrazione va pensato in funzione del futuro, “non di chi ci pulisce il sedere oggi”.
 

Dopo il voto di oggi, i membri del partito avranno una settimana per esprimersi online e il nuovo leader verrà annunciato il 2 novembre. Su tutto questo pesa, come in Rebecca la prima moglie, l’ombra lunga di Boris Johnson e del suo libro, che arriverà sugli scaffali domani e delle cui 784 pagine il Foglio ha già preso visione. Ripercorre i suoi anni a Downing Street e tutte le paludi in cui si è ritrovato impantanato, dalla Brexit al Covid, con una singolare assenza di autocritica e il tono giocherellone di un supereroe con tanti nemici – la burocrazia, il sistema, il protocollo, i benpensanti, gli augusti giudici della Corte Suprema – cercano di mettere i bastoni tra le ruote. E una Elisabetta II che, invece, non è “mai stata altro che incoraggiante e solidale”.

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