La minaccia globale nordcoreana

Giulia Pompili

Il regime di Pyongyang arma la Russia, l’Iran e i suoi alleati, ma se ne parla sempre meno 

Le indiscrezioni dei giorni scorsi sulla morte di militari nordcoreani dopo uno strike ucraino in una delle regioni ucraine occupate dalla Russia sembra essere stata confermata ieri dalla Corea del sud. Per Seul è “altamente probabile” che la Corea del nord stia mandando il suo personale militare a supervisionare l’uso delle sue armi fornite ai  russi dopo l’accordo fra Putin e il dittatore Kim Jong Un.

 

 


Sia la guerra in Ucraina sia il conflitto in medio oriente hanno un facilitatore comune spesso trascurato: il regime di Pyongyang, che da decenni fornisce armi al cosiddetto Asse della resistenza e adesso anche alla Russia, e in generale il suo sostegno, non soltanto politico. Negli anni della cosiddetta “pazienza strategica”, la politica americana di attesa di un collasso del regime dei Kim, la Corea del nord è riuscita a sviluppare la tecnologia cyber, missilistica e nucleare che serve ai gruppi terroristici e ai paesi autoritari che vogliono sfidare l’ordine globale democratico. Il fattore nordcoreano è aumentato esponenzialmente sin dall’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, e una prima conseguenza è stata lo sdoganamento pubblico delle relazioni fra il presidente russo Vladimir Putin e del dittatore nordcoreano Kim Jong Un, non più isolato dalle sanzioni internazionali e paria globale. E mentre rafforzava gli accordi con la Russia e tesseva relazioni con l’Iran e i suoi proxy, Pyongyang continuava a condurre la sua battaglia contro la Corea del sud e l’America, usando la minaccia e la deterrenza nucleare come unici elementi per la sopravvivenza del regime. 

 


Per anni Kim Jong Un è stato ritratto come un leader in bilico, dagli atteggiamenti eccentrici e capace perfino di attirarsi le simpatie social – un “meme vivente”, è stato descritto su autorevoli media. In realtà la cuteness del regime nasconde una strategia sofisticata e allarmante. L’intelligence sudcoreana ha confermato che Hamas ha usato armi di fabbricazione nordcoreana contro Israele, e secondo diverse analisi il gruppo palestinese avrebbe iniziato a costruire i tunnel grazie alla collaborazione con i nordcoreani (che ne hanno decine sul confine fra Nord e Sud). Pyongyang ha poi una storica collaborazione diretta con l’Iran e la Siria: nel 2019 Pyongyang mandò i suoi soldati a combattere per il regime di Assad, e tre anni fa un rapporto delle Nazioni Unite dimostrò la stretta cooperazione sullo sviluppo di tecnologie missilistiche fra Pyongyang e Teheran. Lo scorso aprile, una decina di giorni dopo il primo attacco diretto dell’Iran contro Israele, una delegazione guidata dal ministro delle Relazioni economiche nordcoreano, Yun Jong Ho, è andata in visita in Iran: certe missioni sono pubblicizzate raramente, e all’epoca diverse fonti d’intelligence avevano fatto intendere che forse Teheran stesse cercando di negoziare l’acquisizione del missile balistico intercontinentale nordcoreano Hwasong-15.

 


Per la leadership nordcoreana è un momento d’oro di rafforzamento delle sue relazioni internazionali, soprattutto adesso che la Russia – e la Repubblica popolare cinese, da sempre protettrice del regime per puro calcolo di equilibri internazionali – hanno tutto l’interesse di proteggere la sua stabilità. E quindi aumenta l’asticella delle tensioni. Negli ultimi giorni il leader Kim  ha minacciato più volte di essere pronto a usare le armi nucleari contro la Corea del sud. L’ultima minaccia è arrivata l’altro ieri in un discorso  all’Università di Difesa nazionale Kim Jong Un di Pyongyang, durante il quale Kim ha detto che il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha minacciato “la fine del nostro regime” e quindi  potrebbe usare le armi nucleari per difendersi. Mercoledì scorso, durante una visita a un’unità delle Forze speciali, Kim Jong Un aveva già detto di essere pronto a usare il nucleare “senza esitazioni” contro il Sud. L’approccio sudcoreano al regime di Pyongyang è cambiato molto negli ultimi anni, l’appeasement proposto dal presidente democratico Moon Jae-in – che non aveva dato grandi risultati in termini politici – non esiste più, e l’approccio di Yoon è ben più muscolare alle provocazioni nordcoreane, che proseguono martellanti. Insieme alle preoccupazioni internazionali, soprattutto dopo che la Corea del nord, a metà settembre, ha mostrato al mondo le immagini di un impianto di arricchimento dell’uranio. Anche i palloncini di spazzatura e letame che dal maggio scorso il regime nordcoreano manda in Corea del sud (per ora ne sono stati contati oltre 5.500) non sono soltanto sacchetti di spazzatura, ma armi non convenzionali. A seguito di un’analisi approfondita, il governo di Seul ha scoperto che i palloncini sono dotati di un timer che genera una scintilla per far accendere una specie di laccio pieno di polvere da sparo, in modo da farli aprire e cadere. Anche “la precisione di questi lanci è notevolmente migliorata”, ha scritto ieri il Chosun Ilbo: “Lanciando migliaia di questi palloncini, la Corea del nord sembra voglia accumulare dati su fattori come la direzione del vento, la velocità, il tempo di funzionamento del timer e la quantità di idrogeno gassoso utilizzato”. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.