L'onda coreana si piglia tutto, pure il Nobel

Giulia Pompili

Dopo “Parasite”, il riconoscimento per la Letteratura a Han Kang è la rivoluzione delle arti coreane e un messaggio potente, e a sorpresa, per le donne coreane

Fino a un paio di anni fa, il giorno della proclamazione del Nobel per la Letteratura, i giornalisti sudcoreani si appostavano tutti davanti alla casa di Ko Un, poeta e saggista classe 1933 che da due decenni era il candidato coreano al massimo riconoscimento per la scrittura. Ieri però davanti alla casa di Ko Un non c’era nessuno: nel 2018 è stato cancellato sia dalla lista dei candidati al Nobel sia dai libri scolastici dopo che l’ultraottantenne attivista politico ed ex monaco buddista si era rivelato uno stupratore seriale. Anche per questo ieri in Corea del sud (e nel mondo intero) nessuno si aspettava che il Nobel per la Letteratura sarebbe arrivato comunque lì, ma con un altro nome: quello di Han Kang.

 

Ieri la popolarissima scrittrice sudcoreana Han Kang, nel giro di pochi minuti, ha fatto collassare i siti delle librerie online per il gran numero di ordini. Secondo l’Accademia svedese che assegna il premio, Han è stata premiata “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana”. Nata nel 1970 a Gwangju, figlia di un altro celebre romanziere sudcoreano, Han Seung-won, Han Kang ha raggiunto il successo globale attorno al 2016, quando il suo romanzo “La Vegetariana”, nella sua traduzione in inglese, ha vinto il Man Booker prize britannico. Ed è “La Vegetariana”, in effetti, il suo romanzo più universale – una scrittura creativa e poetica, dicono i critici, che descrive i punti di vista diversi di chi assiste alla trasformazione di una donna che, all’improvviso, decide di smettere di mangiare la carne – ma tutta la sua produzione è anche e soprattutto profondamente coreana. 

 


Fra le economie sviluppate, la Corea del sud è uno dei paesi dove le diseguaglianze sociali sono più accentuate, e soprattutto lo è il rapporto fra uomini e donne: in questo contesto, da anni Han Kang è una voce del femminismo meno radicale (che in Corea del sud è sinonimo di violenza e parolacce) ma più radicato e significativo. E’ la donna che afferma la sua identità decidendo cosa mangiare – provate voi a essere vegetariani in Corea del sud – oppure rielaborando il dolore e ritrovando l’ascolto e la parola nella ritualità delle lezioni di greco. Proprio “Lezioni di greco” è il suo ultimo romanzo, pubblicato a novembre scorso per Adelphi, come tutti gli altri romanzi di Han Kang in Italia tradotti dal coreano dall’eccellente Lia Iovenitti. E poi c’è “Atti Umani”, uscito nel 2014: il racconto del massacro di Gwangju del 1980, la Piazza Tienanmen dei coreani, che per un lunghissimo periodo di tempo è stato un argomento tabù tra i conservatori nazionalisti sudcoreani. E’ anche per questo che la presidente Park Geun-hye, poi deposta dopo un processo d’impeachment, aveva inserito Han Kang in una lista di proscrizione di autori e scrittori che non potevano lavorare col governo, dovevano essere silenziati, cancellati. Adesso molto è cambiato, anche grazie al successo internazionale di tutto ciò che è coreano ma anche per via di una produzione intensa e profonda (e universale) che viene dalla Corea del sud, com’è accaduto nel 2020 con l’Oscar per miglior film a “Parasite” di Bong Joon-ho.

 


Il Nobel ad Han Kang per la Corea del sud è poi una questione di orgoglio nazionale, avendo vinto soltanto due premi Nobel nella storia  – nel 1987 il premio Nobel per la Chimica assegnato a Charles J. Pedersen, che però era nato a Busan nel 1904, durante l’occupazione giapponese, e dunque per la maggior parte dei coreani non conta, e quello per la Pace assegnato nel 2000 al presidente Kim Dae-jung per i suoi sforzi sulla riconciliazione fra Corea del sud e Corea del nord. Ieri molti sottolineavano che nella competizione fra l’anziano e molestatore poeta  Ko Un e la femminista Han Kang ha vinto quest’ultima, a sorpresa: un segnale significativo per le donne coreane, e non solo.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.