nei campus americani
Alla Columbia University c'è chi tifa per Hamas: “Il 7 ottobre è stato strategico e anti imperialista"
I gruppi studenteschi filo palestinesi gettano la maschera: “Viva l’Alluvione di al Aqsa e la resistenza iraniana”. Citano Lenin e Fanon ed esprimono solidarietà con l’“Asse della Resistenza”, Iran, Hezbollah, Houthi e Hamas
Vagheggiavano un “nuovo Sessantotto”. Bravi ragazzi e meglio gioventù in lotta per un mondo migliore e per tutti. Dani Dayan, direttore dello Yad Vashem, si domandava invece se la Columbia University sarebbe passata alla storia come Heidelberg, la città tedesca sede dell’università da cui uscirono molti quadri nazisti. Ma considerarli come giovani idealisti che attraversano una fase di ribellione prima di diventare adulti significava nascondere ciò che c’era di nuovo e di inquietante.
Ora il gruppo filo palestinese che ha organizzato e animato l’accampamento studentesco alla Columbia di New York getta la maschera. “Sosteniamo la liberazione con ogni mezzo necessario, inclusa la resistenza armata”, ha affermato la Columbia University Apartheid Divest.
Il gruppo ha celebrato il 7 ottobre distribuendo un giornale con un titolo che usa il nome scelto da Hamas per il pogrom: “Un anno dall’alluvione di al Aqsa, rivoluzione fino alla vittoria”, con una foto di terroristi che violavano la barriera di sicurezza di Israele. Citano Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas assassinato. “Il 7 ottobre non è stato ‘barbaro’ o ‘sfortunato’, è stato strategico e anti imperialista”, il titolo dell’editoriale. Più che un campus, un califfato. “Lunga vita al 7 ottobre”, ha scritto Nerdeen Kiswani, la direttrice di Within Our Lifetime, un gruppo sempre più influente nei campus d’America.
Anche Students for Justice in Palestine, un gruppo studentesco che ha sezioni in centinaia di college d’America, ha pubblicato elogi del 7 ottobre. “L’alluvione di al Aqsa è stato un atto storico di resistenza”. La Columbia University Apartheid Divest cita Lenin e Fanon ed esprimono solidarietà con l’“Asse della Resistenza”, Iran, Hezbollah, Houthi e Hamas, perché si oppongono all’imperialismo. Elogia anche l’attacco missilistico dell’Iran contro lo stato ebraico, definito una “mossa coraggiosa”. E ora difende Khymani James, lo studente che aveva detto in un’udienza disciplinare che “i sionisti non meritano di vivere” e “siate grati che non me ne sto andando in giro ad assassinare sionisti”.
Dunque le bandiere verdi e gialle di Hamas e Hezbollah col Corano e il kalashnikov, le invocazioni all’“Intifada globale”, le foto di Sinwar, i triangoli rossi rovesciati simbolo degli obiettivi militari di Hamas, le mani insanguinate del linciaggio di Ramallah e la caccia allo studente ebreo al grido di “tornate in Polonia” non erano incidenti di percorso, ma parte della coreografia terroristica che si è impossessata di pezzi dell’accademia americana. La Columbia, il cui nome dovrebbe evocare Cristoforo Colombo e il viaggio verso un nuovo mondo ma che oggi ha più in comune con Edward Said, ci invita a esplorare uno strano universo in cui occidentali che beneficiano di tutti i privilegi che offre una società democratica abbracciano la “Jihad Woke”, come Abe Greenwald su Commentary chiama i nuovi “compagni di letto”. All’Università di Torino studentesse in kefiah in un video con la scenografia stile Isis. Ma in un certo senso il paragone con il Sessantotto funziona: anche allora, un pezzo di terrorismo venne fuori dalle università dove si inneggiava alla liberazione degli oppressi e a dare a ciascuno secondo il suo bisogno. Poi le P38 fecero il resto.