Un blindato di Unifil ad al Naqoura (foto LaPresse)

Fuoco incrociato

Dopo l'attacco in Libano, Crosetto vuole ritirare i soldati italiani da Unifil

Luca Gambardella

La missione dell'Onu colpita da Tsahal, due feriti. Il ministro della Difesa parla di possibili “crimini di guerra” e attacca: “Nessuna giustificazione. L’Italia e l’Onu non accettano ordini da Israele”

Prima della conferenza stampa convocata in tutta fretta ieri pomeriggio dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, mai si erano sentite accuse tanto esplicite da parte del governo italiano contro Israele. Ma ieri, senza troppi giri di parole, l’attacco di Tsahal avvenuto in mattinata contro alcune postazioni della missione Unifil nel sud del Libano è stato definito dal ministro “un possibile crimine di guerra”. La minaccia all’incolumità del nostro contingente – oltre mille uomini in quella che è considerata il fiore all’occhiello delle missioni all’estero delle Forze armate italiane – diventa ora anche un problema interno al governo, diviso fra chi è pronto a ritirare i militari, come lo stesso Crosetto, e chi invece chiede che restino dove sono. Secondo quanto risulta al Foglio, il ministro avrebbe ventilato l’ipotesi di spostare il contingente in altre missioni all’estero, una svolta che avrebbe del clamoroso e che andrebbe a intaccare le relazioni con il governo israeliano.

 

 

Crosetto è perentorio: “E’ stata un’aggressione immotivata. Non esistono giustificazioni, come quella che gli israeliani avrebbero chiesto a Unifil di spostarsi: l’Italia e l’Onu non accettano ordini da Israele”. Due giorni prima, il portavoce della missione, Andrea Tenenti, aveva resa nota la richiesta formulata dagli israeliani affinché Unifil si allontanasse dalla Linea blu, “il confine che non c’è”, come ha definito Tenenti  la linea di demarcazione fra Israele e Libano che l’Onu sorveglia dal 2006. La settimana scorsa, anche il contingente irlandese, dislocato a Maroun al Ras, si era ritrovato intrappolato fra i due fuochi, Hezbollah e Tsahal. Ma stavolta, secondo Unifil, l’attacco israeliano sarebbe stato diretto deliberatamente contro i Caschi blu. Oltre al quartier generale di Ras al Naqoura e al ferimento di due militari indonesiani, sono state prese di mira due postazioni a comando italiano, l’1-31 di Labbouneh e l’1-32. Un drone di Tsahal ha sorvolato l’ingresso del compound di al Naqoura e il sistema di videosorveglianza e delle comunicazioni è stato danneggiato. “Ricordiamo a Israele e a tutti gli attori coinvolti che ogni attacco deliberato è una grave violazione del diritto internazionale umanitario e della Risoluzione del Consiglio di sicurezza 1701”, ha detto Unifil.

 

 

Nel giro di poche ore, Crosetto ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo israeliano, Yoav Gallant, ha convocato d’urgenza l’ambasciatore e ha inviato una lettera all’Onu. “Non si è trattato di un errore o di un incidente. A questo punto vogliamo sapere il perché – ha continuato il ministro davanti ai giornalisti – Unifil è lì per portare la pace, non per subire violenze”. Poco prima, l’agenzia Ansa ha rilanciato fonti vicine al comando della missione: l’obiettivo dell’attacco, dicono, sarebbe stato di “costringerla a ritirarsi” per non avere “testimoni scomodi” in vista di “pianificazioni future” dell’esercito israeliano. Una versione tutta da verificare. “Abbiamo ordinato alle forze Onu di rimanere in spazi protetti,  poi abbiamo aperto il fuoco”, ha risposto Tsahal. “Sembra essere saltata ogni deterrenza”, spiega al Foglio Fabrizio Coticchia, docente di Scienza Politica all’Università di Genova, esperto di Difesa e della missione Unifil. “Le regole di ingaggio limitate e il mandato labile della missione erano un compromesso che nel 2006 mise tutti d’accordo”. Oggi invece il suo futuro è tutto da scrivere.

Di più su questi argomenti:
  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.