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In America

Laurene Powell Jobs guida il club delle donne (miliardarie) che vogliono Kamala Harris alla Casa Bianca

Giulio Silvano

All’inizio erano semplici donazioni, poi l’organizzazione di vari eventi per la raccolta fondi nella sua casa di Palo Alto, cuore della Silicon Valley, e negli anni è nata un’amicizia. Nel 2003 le due parteciparono insieme alla marcia per le donne a Washington come rappresentanti dell’area di San Francisco

Tutto l’opposto dell’energia “Dark Maga” di Elon Musk. Niente saltelli ai comizi, niente compensazione con i razzi, niente ossessioni con Marte, niente magliette e battute da nerd diventato l’uomo più ricco del mondo. Laurene Powell Jobs mantiene un profilo basso. Se Elon Musk, proprietario di Tesla, di Starlink e di X, ha messo le mani appunto sul grande mezzo contemporaneo di condivisione di fake news – il Twitter ribattezzato X, vanity project e terra anarchica zeppa di antisemitismo – l’altra foraggia la rivista The Atlantic, simbolo di un Novecento di carta che non c’è più ma che difende il buon giornalismo. Il primo dona i soldi ai super Pac trumpiani per compensare le mancate donazioni dei milionari spaventati dal 6 gennaio, e promette un gettone – meno di 50 dollari – a chi si registra per votare. Lei, la vedova di Steve Jobs, si schiera con Kamala Harris, la candidata alla presidenza del Partito democratico e sua coetanea. Madre dei tre figli del fondatore della Apple, la sessantenne Laurene Jobs ha un patrimonio miliardario che usa per no profit, per attivismo politico e per i media, come appunto l’Atlantic – ma ha anche una partecipazione nel sito d’informazione  Axios – e ha fondato College Track, associazione che aiuta gli studenti di famiglie svantaggiate, soprattutto di immigrati, a finire l’università. Attenta a spingere le carriere di donne in politica e nelle imprese, ha organizzato raccolte fondi per Hillary Clinton, ma non si è mai esposta molto su Joe Biden o altri politici maschi, cercando di concentrarsi sull’emancipazione femminile nei luoghi di potere.

Se Musk è diventato ufficialmente un sostenitore di Donald Trump soltanto quando il candidato repubblicano il 13 luglio scorso è stato vittima di un tentato assassinio a Butler, Laurene Powell Jobs è dalla parte di Harris da ben prima che la vicepresidente arrivasse nella West Wing. Harris nei decenni ha coltivato amicizie con una cerchia di miliardari progressisti della California. Basta vedere la lista di donatori del 2003, quando si candidò come procuratrice distrettuale. C’erano figure come l’attuale co-presidente della Disney, Dana Walden, e, ovviamente Laurene, che allora usava ancora soltanto il cognome del marito, Jobs. Già vent’anni fa LPJ, come la chiamano nell’entourage della vicepresidente, è stata un’importante colonna nel percorso politico di Harris, prima come procuratrice a San Francisco, poi come procuratrice generale dello stato, poi come senatrice e infine come candidata alla presidenza in sostituzione di Joe Biden. All’inizio semplici donazioni, poi l’organizzazione di vari eventi per la raccolta fondi nella sua casa di Palo Alto, cuore della Silicon Valley, e negli anni è nata un’amicizia.

Nel 2003 le due parteciparono insieme alla marcia per le donne a Washington come rappresentanti dell’area di San Francisco. Si racconta che nel 2011 nel bel mezzo di una riunione un assistente passò un foglietto a Harris, con scritto “è morto Steve Jobs”. Lei si scusò, si alzò, e andò a telefonare all’amica che aveva appena perso il marito. Come ha raccontato a Semafor un’ex assistente di Harris, quando Powell Jobs venne invitata da Barack Obama al suo discorso sullo Stato dell’Unione, sul suo jet privato caricò anche l’amica Kamala. Nominata senatrice in Campidoglio nel 2017, Kamala invitò Powell Jobs a partecipare alla cerimonia e nelle foto di quel giorno, accanto all’allora futuro presidente Joe Biden, si vede anche la vedova Jobs. “La mia famiglia allargata”, disse Harris in quell’occasione. Pochi mesi dopo Powell Jobs, che non ha mai amato i riflettori, fu convinta a partecipare a una conferenza e anche lì decise di portarsi l’amica Kamala, neosenatrice, sul palco. In quell’occasione Harris disse una frase che poi è stata usata dal mondo Maga (il trumpismo di Make America Great Again) per attaccarla negli anni successivi, disse: “Dobbiamo essere woke, tutti dovrebbero esserlo”. Quando la giornalista chiese a Powell Jobs se intendesse candidarsi alla presidenza lei rispose: “Una di noi due dovrebbe” e si girò sorridendo verso Kamala. “Io voto per lei”, aggiunse.

Da quando Harris è diventata vicepresidente, LPJ va a dormire a casa sua quando passa da Washington. A cena parlano di viaggi e di filantropia – si cerca di evitare il tema Trump, dicono. LPJ è andata al matrimonio di Kamala quando si è sposata con Doug Emhoff, il second gentleman, e Harris a quello del figlio di LPJ. Le due vanno a pranzo insieme da Nobu a Malibu e condividono anche lo stesso dermatologo. LPJ era lì ad applaudire alla convention democratica di Chicago che ha incoronato Harris. Negli ultimi due decenni la vedova Jobs è stata una delle più influenti persone di fiducia della candidata del Partito democrativo.

Non è solo una questione di soldi, di donazioni, per far vincere un candidato sull’altro. Secondo il New York Times c’è anche lo zampino della donna più ricca della Silicon Valley nel ritiro di Joe Biden dalla candidatura presidenziale di quest’estate. La vedova filantropa non era felicissima dell’Amministrazione Biden, non le piaceva la retorica anti miliardari, le politiche poco incoraggianti sullo sviluppo dell’industria tecnologia californiana, e la gestione dell’immigrazione, un tema che le sta molto a cuore. Subito dopo il funesto dibattito, LPJ ha condiviso con altri importanti donatori democratici i sondaggi catastrofici messi su dalla sua squadra personale di ricerca politica. Fedele all’idea dell’empowerment femminile, a quanto pare Powell Jobs da mesi cerca di coinvolgere altre donne del mondo tech e di Hollywood a donare e ad aiutare la sua amica candidata.

Il Times di Londra ha parlato di un “club di donne miliardarie” che stava provando a portare Kamala alla Casa Bianca ancora prima del ritiro del vecchio Joe. Tra le donne del club ci sarebbero Melinda French Gates, l’ex moglie di Bill, e Sheryl Sandberg, ex direttrice operative di Facebook, e anche Katie Stanton, fondatrice di Moxxie Ventures e tra le donne più potenti del mondo tech. Si parla anche di Aileen Lee, venture capitalist che si è inventata l’uso del termine “unicorn” nell’imprenditoria e di Jesse Draper, di Halogen Ventures, investitrice e attivista femminista nelle imprese. Certo, non mancano anche altri uomini ricchi come fedeli supporter dalla costa – Reed Hastings, Ceo di Netflix, Vinod Khosla di OpenAi e Mark Cuban, una specie di Elon Musk progressista, celebre per il programma tv “Shark Tank”. Secondo Cuban, Harris favorirà di più l’impresa, l’intelligenza artificiale e le crypto. Ma LPJ sogna un’America a trazione femminile.

Il New York Times specula che, dovesse arrivare a Pennsylvania Avenue dalla porta principale, Harris potrebbe offrire all’amica Laurene un posto nell’Amministrazione, ad esempio quello di segretaria all’Istruzione, oppure qualcosa che ha a che fare con il riscaldamento globale, altri due temi che piacciono alla filantropa queenmaker.