Il leader del Ppe Manfred Weber (GettyImages)

bye bye maggioranza

Sulle audizioni dei commissari il Ppe sfida i socialisti. Fitto tira un sospiro di sollievo

Pietro Guastamacchia

I popolari si alleano con la destra, l'alleanza storica in frantumi. Il Pse minaccia ritorsioni mentre i popolari difendono la propria strategia e parlano di bluff: “Non hanno i numeri per fermare niente". I due forni di Ursula

Bruxelles. Ciao, ciao maggioranza Ursula. L’alleanza tra socialisti, liberali e popolari che ha governato l’Ue per cinque anni, e che avrebbe dovuto farlo per altri cinque, si frantuma alla conferenza dei capigruppo di ieri all’Eurocamera sul voto per i calendari delle audizioni dei commissari europei. Il Ppe, per la seconda volta in un mese, rispolvera la cosiddetta “maggioranza Venezuela”, alleandosi con conservatori, sovranisti e ultradestra, decretando di fatto una strategia popolare dei due forni. Le maggioranze in campo a Bruxelles sono dunque due: una progressista e una conservatrice e il perno tra le due, numeri alla mano, può essere solo il partito guidato da Manfred Weber. I socialisti, però, non ci stanno e dissotterrano l’ascia di guerra, promettendo “gravi conseguenze durante le audizioni dei commissari” e per l’intero processo di conferma della nuova Commissione.


Chi sorride è Raffaele Fitto: il tentativo di metterlo in fondo alla lista delle audizioni dei vicepresidenti, privando popolari e conservatori della possibilità di rappresaglia nel caso in cui il ministro di Maglie venisse bocciato, è infatti fallito. Fitto sarà audito martedì 12 novembre, per primo tra i vicepresidenti, e quindi la conferma della commissione Affari Regionali sulle sue competenze arriverà diverse ore prima dell’inizio dell’esame della collega socialista spagnola, Teresa Ribera. La ministra, voluta da Sánchez e considerata la pietra più preziosa della rosa socialista, sarà infatti audita per ultima, assieme alla popolare finlandese Virkkunen, un affronto che ha mandato su tutte le furie la capogruppo socialista, Iratxe García Pérez.


Uscendo dalla sala che ha ospitato la conferenza dei capigruppo a Strasburgo, la spagnola ha attaccato frontalmente i popolari: “Non riusciamo a capire perché il Ppe giochi ad avere doppie maggioranze: con noi in alcuni momenti e con l’estrema destra in altri. Tutto ciò avrà conseguenze per le audizioni. Sappiamo bene chi ha rotto il cordone sanitario, sappiamo chi fa accordi con l’estrema destra”, ha minacciato García Pérez, alzando il livello di scontro tra gli alleati. Il viaggio di ritorno a Bruxelles non ha placato gli animi tra i gruppi, e di certo non ha aiutato l’autocombustione del locomotore del TGV, che ha costretto eurodeputati e assistenti a campeggiare nel piazzale antistante la stazione di Strasburgo fino a sera. Rientrati a tarda notte nella capitale belga fonti socialiste confermano al Foglio che questa volta non intendono lasciar correre e che una risposta forte è in arrivo: “Qualcosa che farà capire a Weber che ha esagerato”.


Rabbia anche tra i Verdi, che per mesi hanno giocato nell’ambiguità di fare o meno parte di una maggioranza che oggi sembra non esistere più, a prescindere dalla loro presenza. La capogruppo dei Verdi, la tedesca Terry Reintke, uscita dalla sala visibilmente arrabbiata ha accusato il Ppe “di aver indebolito le forze pro-democratiche e pro-Ue nel Parlamento europeo”, prima di inveire contro chi “pensa di fare patti con i fascisti e quelli ancora più fascisti dei fascisti”.


Dissenso, seppur più contenuto, anche dai liberali di Renew Europe, che invitano “tutte le forze democratiche e pro-europee a riunirsi attorno a un’agenda costruttiva”. Il gioco del Ppe è però ben noto in casa liberale: la famiglia macroniana ha infatti trascorso l’ultima legislatura fungendo da perno tra due maggioranze, la tradizionale maggioranza Ursula e una più spostata a sinistra, con l’aggiunta di Verdi e sinistre, usata ad esempio per fermare il tentativo dei popolari di affossare la legge sul ripristino della natura.


Dal Ppe, però, rimandano le accuse al mittente e spiegano alla stampa di “aver scelto un calendario basato sulla prassi del passato”, sottolineando anche di aver offerto, come gesto di compromesso, di spostare la vicepresidente in quota Ppe, Helena Virkkunen, in fondo alla lista assieme a Ribera. I popolari, inoltre, non credono al bluff socialista: “Non hanno i numeri per fermare niente – spiega un dirigente popolare – se pensano di cercare una rappresaglia nelle audizioni dei commissari, sappiano che gli unici commissari a rischio sono i loro. Gli equilibri sono cambiati, ci facciano l’abitudine”.