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Vertici

Zelensky è in Europa con il suo piano per la vittoria e due obiettivi 

Paola Peduzzi

L'accoglienza degli alleati a Londra, Parigi e Roma è calorosa, ma per costringere il Cremlino alla pace il presidente ucraino punta ad abbandonare urgentemente la logica delle linee rosse, nella speranza che un'eventuale rielezione di Trump e i freni dell'Ungheria non agevolino la corsa agli armamenti di Putin

Ieri mattina Volodymyr Zelensky è arrivato a Londra, la prima tappa di un tour molto rapido, e molto importante, che comprende Parigi, Roma e Berlino. Il vertice di Ramstein, la base militare tedesca che è diventata un punto d’incontro tra gli ucraini e gli alleati internazionali, era previsto per il 12 ottobre, ma è stato posticipato a causa dell’assenza del presidente Joe Biden: è difficile che possa essere rifissato prima delle elezioni americane, il 5 novembre. Allora il presidente ucraino ha deciso di andare personalmente a casa degli alleati europei più importanti – a Londra era presente anche il segretario generale della Nato, l’olandese Mark Rutte – perché questo è un momento decisivo per la difesa del suo paese, sul campo di battaglia e anche per quel che riguarda il contesto internazionale – l’eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca cambierebbe parecchie cose. Zelensky ha preparato un “piano per la vittoria” che ha già presentato agli americani (anche a Trump) e che punta a rafforzare l’Ucraina sul campo, in modo da, come dice lui, costringere Vladimir Putin alla pace

 

                               


Anche se commentatori e analisti si innamorano ogni giorno di qualche ipotesi fantasiosa di negoziato, con concessioni territoriali ucraine senza garanzie di sicurezza come l’ingresso nella Nato, è chiaro che il Cremlino non sceglierà volontariamente la pace – ha stanziato il 6,5 per cento del suo pil per la Difesa: si prepara a una guerra lunga, cioè il contrario di quel che vagheggiano i cosiddetti pacifisti, e ieri ha colpito un sistema Patriot – e che l’unico modo per ottenerla è un’Ucraina più forte nella sua difesa. Da tempo, almeno dall’incursione nella regione russa di Kursk all’inizio di agosto, le Forze armate e l’intelligence di Kyiv lavorano a questo rafforzamento, producendo armi in proprio che possono essere utilizzate contro obiettivi militari in territorio russo. Ma senza il sostegno degli alleati – e la possibilità di usare anche gli armamenti occidentali in territorio russo – l’obiettivo è molto difficile da raggiungere, ancor più visto che i tempi sembrano sempre più stretti (il tempo noi lo calcoliamo sulla base degli appuntamenti elettorali, dei vertici, delle scadenze dei vari processi di avvicinamento politico all’Ucraina, ma gli ucraini hanno una misura più brutale: i morti, militari e civili, che ieri soltanto a Odessa sono stati otto).  


A Londra l’accoglienza a Zelensky è stata come sempre calorosa e promettente: è cambiato il governo, dai conservatori ai laburisti, ma non la determinazione a sostenere l’Ucraina fino alla vittoria. Anche a Parigi e Roma, l’Ucraina trova degli alleati cui è molto grato, ma è in attesa di risposte cruciali, che hanno sostanzialmente a che fare con un’accelerazione – delle forniture militari, dei permessi per l’utilizzo delle armi contro obiettivi in Russia, dei fondi stanziati sia a livello europeo sia al G7 – ma anche con un cambiamento di approccio al conflitto: abbandonare la logica delle linee rosse, che restano soltanto in campo occidentale mentre la Russia le vìola tutte senza porsi limiti (né se li pongono i suoi alleati, Cina, Iran e Corea del nord, per citare i più generosi), e che fanno da alibi alla paura delle conseguenze di una vittoria dell’Ucraina sulla Russia. Il piano che Zelensky presenta in queste ore ai suoi alleati ha come presupposto proprio questo cambiamento. Che è urgente ma che ha di fronte degli ostacoli, primo fra tutti proprio l’eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca: l’ex presidente vuole una pace rapida, non giusta (e va fiero del suo buon rapporto con  Putin). Lo stesso si può dire dell’Ungheria, che rallenta le decisioni dell’Ue su tutti i fronti e ha ottenuto di non partecipare a nessuna iniziativa della Nato a sostegno dell’Ucraina: ieri il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha partecipato al Forum sull’energia a San Pietroburgo, dove ha detto di voler chiudere un altro accordo con Gazprom.
 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi