L'alleato stizzito
I limiti dell'amicizia tra Mosca e Teheran passano per la Siria
I conti tra tra la Russia e l'Iran si fanno in Siria. L'incontro tra il capo del Cremlino Vladimir Putin e il presidente iraniano Masoud Pezeshkian e il messaggio di Israele
Uno dei tormenti dell’Asia centrale sta nella sua stessa denominazione: centrale. Posta al centro di tante potenze, ogni nazione è stata strattonata, presa, attirata da qualcuno di più grande e confinante che ancora oggi andando in questi paesi si sente fin troppo a casa. Ieri ad Ashgabat, in Turkmenistan, si è tenuto un forum internazionale dal titolo ambizioso: “Il rapporto tra tempi e civiltà, la base della pace e dello sviluppo”. Inizialmente avrebbe dovuto ospitare tutti gli stati in cui si parlano lingue turche con il presidente Recep Tayyip Erdogan come grande ospite e accentratore. Erdogan è rimasto in Turchia, mentre una decina di capi di stato e di governo di paesi che con le lingue turche non hanno nulla a che vedere si sono incontrati facendo da sfondo alla stretta di mano più attesa tra due presidenti che in parte ad Ashgabat si sentono a casa: il capo del Cremlino Vladimir Putin e il presidente iraniano Masoud Pezeshkian.
I due hanno parlato per circa un’ora, hanno detto di essersi capiti, e alla fine dell’incontro hanno affermato che, secondo il comunicato del Cremlino, “le relazioni della Russia con l’Iran sono una priorità e si stanno sviluppando con grande successo”. Vladimir Putin ci ha tenuto a far sapere che la collaborazione sulla scena internazionale va avanti e i due paesi “sugli eventi globali” hanno opinioni “spesso simili”. Gran parte dell’incontro ruotava attorno a un documento di cooperazione strategica a lungo termine tra i due paesi, che è stato approvato dai presidenti e verrà firmato o a Mosca o a Teheran. La Russia ha sempre cercato di avere un ruolo in medio oriente e non è detto che lo scontro tra Iran e Israele faccia parte dei suoi piani, anzi, secondo le valutazioni fatte da esperti israeliani nel campo dell’intelligence: un coinvolgimento sempre più diretto di Teheran e una possibile richiesta di aiuto militare mettono Mosca nella posizione di dover ripensare il suo ruolo in medio oriente e, per ora, non ha intenzione di farlo. Il Cremlino ha ottenuto dall’Iran i droni Shahed con cui colpire l’Ucraina. Secondo il dipartimento di stato americano ci sarebbe un accordo anche per trasferire missili balistici (la consegna era data per imminente, ma non è confermata), e mentre la Russia importa armi iraniane ricambia con aiuti economici e con una collaborazione sul programma nucleare di Teheran. “E’ una relazione di bisogni e interessi – dice al Foglio Micky Aharonson ricercatrice del Jerusalem Institute for Strategy and Security ed ex direttrice del Consiglio per la sicurezza nazionale – Putin ha fatto un grande sbaglio a non immaginarsi che invadendo l’Ucraina sarebbe stato cacciato dal club dei grandi, così ha ripiegato su partner come l’Iran e la Corea del nord”.
Le relazioni commerciali intense, l’aiuto sul nucleare, le armi, il gas, ma per il momento la notizia che Mosca avrebbe mandato delle batterie antimissile S-400 a Teheran per proteggersi dall’attacco in arrivo da Israele non è stata confermata. Israele sta ancora decidendo, in coordinamento con gli Stati Uniti, dove colpire la Repubblica islamica dopo essere stato attaccato con quasi duecento missili e come ha detto una fonte ad Arash Azizi sull’Atlantic, la prima preoccupazione è anche la più urgente: “Non abbiamo una fottuta aeronautica”. E non ci sono segnali che indichino che Mosca stia aiutando nel momento di urgenza. Israele legge l’amicizia tra Mosca a Teheran come fruttuosa, vede che la Russia è stata in grado di usarla contro Kyiv, ma per capire a pieno il rapporto tra i due paesi non bisogna guardare tanto a quello che accade in Russia o in Iran, ma occorre tenere gli occhi ben aperti sulla Siria. “Israele – dice Aharonson – di fatto condivide un confine con Mosca, è così che leggiamo ormai la vicinanza alla Siria. A Israele non sfuggono le posizioni di alleanza con Teheran, né sfugge il fatto che a Mosca siano state invitate delegazioni di Hamas, ma la Siria per noi rimane una parte critica della catena con cui gli iraniani riforniscono Hezbollah in Libano ed è stato Bashar el Assad a permetterlo. Ora la domanda è: Assad ha più paura dell’Iran o di Israele?” e nello stabilire l’ordine delle paure il consulto con la Russia di Vladimir Putin gioca un ruolo, secondo le valutazioni israeliane. Israele sta operando per colpire gli iraniani in Siria, ha distrutto i punti di collegamento tra la Siria e il Libano usati per il trasporto di armi destinate a Hezbollah, agisce contro Teheran, ma manda messaggi ai siriani e ai russi, per i quali la loro presenza in Siria è più importante dell’aiuto da dare al regime iraniano. Secondo Aharonson Israele non sta facendo tutto quello che è in suo potere in Siria, ma sta mostrando che non è disposto a tollerare che Hezbollah continui a essere armato e che la catena passi per la via siriana. La Russia ha interesse che il regime siriano non esploda, vuole mantenere le sue basi, il suo controllo e non ha mai dimenticato la competizione con Teheran in Siria: “E’ nell’interesse della Russia contenere l’esportazione di armi”.
C’è un altro calcolo su cui gli israeliani confidano molto: ritengono di saper mandare messaggi ai regimi meglio degli Stati Uniti. Israele ha dato prova del suo potere e della sua capacità militare, ha mandato un messaggio in una lingua che Mosca capisce e adesso il Cremlino non ha intenzione di vedersela con lo stato ebraico. “La mia speranza – dice Aharonson – è che Israele non debba mai far vedere tutto quello che può fare”.