Foto LaPresse

Il paziente francese

L'aumento dei tassi in Francia mostra cosa succede a un paese che gioca con le regole fiscali europee

Lorenzo Bini Smaghi

Il debito pubblico francese viene ormai considerato più a rischio di Spagna e Portogallo. Instabilità politica e crescita del debito frenano Parigi mentre l’Italia resta in bilico

Ha destato una certa sorpresa l’incremento dei tassi d’interesse sui titoli di stato francesi avvenuto nel corso dell’estate, superando da tempo i tassi portoghesi e di recente anche quelli spagnoli.  Ciò significa che il debito pubblico dalla Francia viene oramai considerato dagli operatori di mercato più a rischio di quelli di Portogallo e Spagna. Questa evoluzione è il risultato di due fattori principali, uno di natura economica e l’altro politico. Il primo è la diversa dinamica del debito pubblico. Mentre il debito francese è previsto continuare ad aumentare nei prossimi anni, oltre il 110 per cento del pil, quelli spagnolo e portoghese dovrebbero invece scendere.

Ciò è dovuto a una crescita economica più sostenuta e a politiche di bilancio più prudenti, frutto anche delle riforme messe in atto nei due paesi iberici dopo la crisi finanziaria dello scorso decennio. La riduzione dello spread e il risanamento di bilancio hanno innescato un circuito virtuoso che consente di liberare risorse pubbliche da destinare alla crescita.

Il secondo fattore riguarda la stabilità politica. L’esito delle elezioni francesi del giugno scorso non consente la formazione di un governo sostenuto da una maggioranza coesa ed è difficile fare previsioni sulla durata della legislatura. La legge di Bilancio è l’occasione di una prima verifica sulla stabilità dell’esecutivo, ma la capacità di prendere impegni a medio-lungo termine è seriamente messa in discussione.

I due fattori – economico e politico – spiegano anche la posizione intermedia dell’Italia, il cui differenziale d’interesse con la Germania si è ridotto nelle ultime settimane, ma in misura minore rispetto ai due paesi iberici, o persino alla Grecia. Se la stabilità politica contribuisce a ridurre il rischio sui titoli di stato italiani, la dinamica del debito pubblico nei prossimi tre anni rimane un fattore di fragilità e di preoccupazione per i risparmiatori.

La diversa evoluzione dei rendimenti sui titoli di stato dei vari paesi europei mostra che, rispetto al passato, i mercati finanziari stanno dando meno importanza al fattore contagio. Lo spread di paesi più piccoli, come la Grecia e il Portogallo, o anche la Spagna, ha continuato a ridursi nonostante l’aumento significativo di quello francese. In altre parole, l’aumento del rischio francese non ha contagiato gli altri paesi, nonostante la dimensione sistemica dell’economia transalpina.

Ciò è probabilmente dovuto, almeno in parte, all’allentamento della politica monetaria e alla riduzione dei tassi d’interesse messi in atto dalla Bce dal giugno scorso, che hanno spinto gli operatori ad acquistare titoli a lunga scadenza con rendimenti più elevati, nell’aspettativa di ottenere guadagni in conto capitale. L’altro fattore determinante è l’aspettativa che la Bce sia pronta a intervenire, con il suo strumento Tpi (Transmission Protection Instrument), adottato un paio di anni fa per far fronte a eventuali tensioni sui mercati finanziari. L’utilizzo di tale strumento dipende tuttavia dalla valutazione – in particolare da parte della Commissione europea – della sostenibilità del debito di ciascun paese. Ciò tende a favorire i paesi adempienti rispetto alle nuove regole del Patto di stabilità, il cui debito è previsto in calo, come la Spagna, il Portogallo e la Grecia. Per i paesi che invece deviano dalle nuove regole, o non intendono applicarle, la Bce potrebbe non intervenire, o chiedere altre garanzie, il che aumenta il rischio dei rispettivi titoli di stato.

L’evoluzione di questi mesi mostra che, nonostante la Bce ripeta che il suo mandato prioritario sia la stabilità dei prezzi, i mercati finanziari sono convinti che essa non esiterebbe a intervenire in caso di instabilità finanziaria nell’area dell’euro, soprattutto per proteggere i paesi virtuosi. La Bce non fa peraltro niente per smentire tale aspettativa, che produce due effetti positivi. Innanzitutto, i paesi dell’area euro hanno un forte incentivo ad adottare programmi pluriennuali di bilancio coerenti con la riduzione del debito pubblico. Inoltre, viene scoraggiata la tentazione di alcuni paesi, soprattutto quelli più grandi, di ritenere che sono “troppo grandi per fallire” e che la Bce sia comunque obbligata ad acquistare i loro titoli di stato per evitare ripercussioni sistemiche per l’intera area dell’euro.

L’aumento dei tassi d’interesse francesi è un chiaro segnale al mercato che chi devia dalle regole fiscali europee deve poi assumersene le conseguenze.