l'editoriale dell'elefantino
Se a decidere il duello fra Harris e Trump sarà il Testosterone
Pare che The Donald e Vance siano ancora in testa nei sondaggi perché Harris è regredita nelle aspettative di voto tra i maschi e non attecchisce la sua immagine di comandante in capo in epoca di guerra. Pallidi riflessi italiani
Mancano poco più di venti giorni alle elezioni americane e fa irruzione, indovinate che cosa? il Testosterone. Da una serissima e argomentata discussione svolta nel Financial Times da Edward Luce, il corrispondente americano del giornale, e William Galston, una testa d’uovo della Brookings ora al Wall Street Journal dopo aver lavorato nella campagna gloriosa di Clinton nel ‘92 e in quella rovinosa di Mondale dell’84, si ricava che il risultato di novembre nella battaglia tra Trump e Harris sarà deciso, indovinate da che cosa? dalla Mascolinità. E non sono battute, non sono categorizzazioni semicomiche, non è una discesa agli inferi o un tributo all’assurdismo semimorale della politica americana nel suo punto più estremo e forse più basso, è una questione politica e di organizzazione del consenso democratico oltremodo seria e pesante.
A quanto pare quelli di noi che mettono nel falso cinismo della politica un’anima intellettualistica da democratici debosciati si erano per un momento cullati nell’illusione del “weird”. Il vice di Harris, il folksy Tim Walz, aveva scartato a sorpresa dalla severità istituzionale degli attacchi al pericoloso clownismo di Trump e si era liberato del fantasma minaccioso dicendo che a lui Trump e i trumpisti sembravano “strambi”, “weird”. La gente aveva riso, il pubblico si era scaldato e divertito alla politica della gioia ritrovata, alla prospettiva liberatoria di vincere, forse forse, ma con una scrollata di spalle e di ironia invece che con un noioso frontale pedagogico contro i famosi “deplorables”, come li aveva definiti senza fortuna Hillary Clinton nel 2016. Anche qui, a me, era sembrata una piacevole illusione. Niente da fare, pare. Per adesso i sondaggi non si muovono, Trump e Vance, due maschioni per niente folksy, sembrano tuttora in testa negli stati in bilico, sostenuti da quel cafone sudafricano molto ricco e post-testosteronico che ha il talento estremo della follia. E pare siano ancora in testa, dati alla mano, perché Harris è regredita nelle aspettative di voto tra i maschi, rispetto ai risultati che coronarono Biden per un pelo, e non attecchisce la sua immagine di comandante in capo in epoca di guerra, di regolatore della faccenduola tariffe con la Cina, di tutrice dell’energia nazionale e della sicurezza, di domatrice dell’inflazione e dei rischi fatali dell’immigrazione illegale in un’economia florida ma percepita come punitiva.
Harris è una donna nata politicamente nell’area trans tutto di San Francisco, pittoresco teatro degli eccessi, e in una vecchia dichiarazione si era “fidata di dicere”, come si esprimono a Napoli, che fondi pubblici devono essere stanziati per consentire il cambio di sesso ai detenuti e agli immigrati illegali ristretti nei campi. Una cosa gender-affirmative, un caso di scuola dell’assurdismo progressista che a San Francisco suona come una banalità, un’ovvietà, ma altrove suscita qualche tremolante perplessità. Questo eccesso di empatia, questa forse elegante mancanza di Testosterone, mette a rischio la sua elezione contro l’omone e gli “ormoni” di riferimento di un pubblico che queste ovvietà non le capisce. Chissà che un pallido riflesso di una simile contesa sulle palle necessarie alla guida dello stato non abbia a che fare anche con la mascolinità delle sorelle Meloni, quelle che licenziano i boy friends in tre righe, comparata al rap con J-Ax di Elly e le sue ambizioni postpolitiche di regista dell’armocromia. Sta di fatto che il wokismo sarà pure in calo, ma due espertissimi delle “idiosincrasie” americane ci dicono che in quel laboratorio a decidere del potere sarà ancora una volta uno steroideo del gruppo androgeno.