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macronismo scomparso

Barnier l'italien. La Francia imbocca la via dell'asfissia fiscale

Mario Seminerio

Il primo ministro presenta una legge di bilancio che prevede una correzione dei conti pubblici di 60 miliardi di euro, molti dei quali dovranno arrivare attraverso nuove tasse. Ma il rischio è che le nuove misure possano avere un effetto restrittivo, non trascurabile, sul bilancio dello stato francese

Il progetto di legge di bilancio presentato dal premier francese, Michel Barnier, prevede una correzione dei conti pubblici di 60 miliardi di euro, tale da portare il rapporto deficit-pil dal 6 per cento attuale al 5 per cento il prossimo anno. Barnier afferma che due terzi della manovra riguardano tagli spesa e un terzo incrementi di entrate, ma la linea di demarcazione tra le due categorie è molto più sfumata e ambigua di quanto si sia disposti ad ammettere, ovunque. E infatti alcuni osservatori hanno ipotizzato che la ripartizione sia in parti uguali. 

Le imprese con ricavi eccedenti il miliardo annuo saranno assoggettate a una contribuzione straordinaria sugli utili prodotti in Francia. Nel 2024, tale addizionale sarà pari al 20,6 per cento dell’imposta sulle società con giro d’affari compreso tra 1 e 3 miliardi di euro e del 41,2 per cento per quelle con ricavi eccedenti i 3 miliardi. Queste maggiorazioni verranno dimezzate per il 2026. Gettito atteso nel biennio: 12 miliardi. Si tratta quindi di addizionali all’imposta sui redditi delle società, di fatto rese progressive in base al giro d’affari, che dovrebbero interessare 440 aziende. 

Per le famiglie, viene stabilita per tre anni una minimum tax del 20 per cento sui redditi superiori a 250 mila euro per un single senza figli e 500 mila euro per le coppie, per contrastare forme di elusione e schermatura fiscale attuate dopo che su quelle soglie di reddito era stata applicata nel lontano 2012 una maggiorazione di aliquota del 3-4 per cento. La stima iniziale di 65 mila nuclei familiari interessati è stata fortemente ridimensionata, a circa 25 mila soggetti, poiché tanti sono quelli che hanno un prelievo effettivamente inferiore al 20 per cento. 

Ce n’è anche per i pensionati, visto che il rinvio di sei mesi dell’indicizzazione delle pensioni frutterà 4 miliardi . Ci sono poi misure destinate a causare preoccupanti aumenti del costo del lavoro. Ad esempio, la rimodulazione della decontribuzione, resa assai meno favorevole per i redditi più bassi, e che dovrebbe produrre risparmi per 4 miliardi. Altro taglio che impatterà sull’occupazione più fragile e meno qualificata è quello sui sussidi pubblici ai contratti di apprendistato, sinora serviti per aumentare l’occupazione soprattutto giovanile ma a costi stimati in 26 mila euro per posto di lavoro sussidiato. C’è poi tutto un rosario di aumenti per elettricità e combustibili, che inciderà sui prezzi al consumo, mentre le pubbliche amministrazioni vedranno un taglio di personale, per blocco del turnover, che colpirà soprattutto l’istruzione. 

La stima di crescita per il 2025 su cui Barnier basa il bilancio, pari a 1,1 per cento, rischia quindi di essere ottimistica, perché le misure avranno un effetto restrittivo non trascurabile. Bisognerà poi valutare l’impatto sull’eventuale mobilità internazionale dei contribuenti, imprese e privati. Soprattutto, ci si interroga sul perché adottare misure a termine o dichiarate tali, quando siamo entrati nell’era degli interventi strutturali, da evidenziare nell’omonimo piano di bilancio da negoziare con Bruxelles. 

Né è possibile sapere quando Marine Le Pen, che con la sua non sfiducia di fatto tiene in vita il governo, staccherà la spina, votando con la sinistra. Mancano più di sei mesi alla possibilità di nuovo scioglimento del Parlamento, e il Rassemblement National li utilizzerà per scuotere l’albero o coglierne i frutti bassi, dovendo tuttavia evitare che il risentimento pubblico lo assimili al governo, per averne ritardato la caduta. 

Nel frattempo, Fitch ha cautamente abbassato l’outlook al debito francese, rinviando la decisione vera e propria di declassamento, mentre il debito pubblico di Parigi rende lievemente più di quello spagnolo e, sulla scadenza quinquennale, di quello greco. Con un debito-pil al 110 per cento e una spesa per interessi che quest’anno immolerà 50 miliardi di euro, il rischio di un aggravamento delle tensioni sociali è sempre più elevato. Parigi sembra avere davanti un percorso italiano, fatto di progressiva perdita della capacità di utilizzo della finanza pubblica in chiave anticiclica e di promozione di riforme profonde. 

Già questa manovra ricorda molto le nostre, inclusa la terminologia da ultima spiaggia usata da un primo ministro che definire pro tempore suona appropriato in senso letterale. Se la Francia imbocca un percorso di asfissia fiscale, conseguenza di un evidente lassismo divenuto regola, come testimonia la collezione di deficit primari transalpini, quella sì strutturale, con un quadro politico dove il centro è pressoché estinto e le estreme populiste scorrazzano trionfanti, anche il futuro della Ue appare minacciato. Per ora, assistiamo alla sepoltura del macronismo come politica economica, o meglio come politica tout court, come si direbbe sotto l’Arco di Trionfo. Perduto. 

Ci sono tuttavia ancora alcuni elementi che differenziano la Francia dall’Italia, non sappiamo per quanto. Ad esempio, gli scaglioni d’imposta transalpini sono indicizzati all’inflazione, quindi non esiste fiscal drag. Forse il prossimo “tesoretto” per Barnier o chi verrà dopo di lui sarà proprio quello. E ancora, la massima aliquota dell’imposta personale sui redditi francesi, pari al 45 per cento, parte da quasi 160 mila euro, contro i 50 mila euro della nostra aliquota top, del 43 per cento. Quindi sì, decisamente i francesi hanno ancora molto da percorrere, lungo la via italiana dell’inferno fiscale. 

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