medio oriente

Cosa succede tra Israele e Unifil

Micol Flammini

Per Tsahal la Forza di interposizione è una missione cieca: la richiesta di ritiro, le intimidazioni di Hezbollah e un mandato reso debole

La distanza tra una torretta di controllo della Forza di interposizione delle Nazioni Unite in Libano, Unifil, e un tunnel di Hezbollah è questione di qualche metro percorribile a piedi. Costruire un tunnel implica una grande quantità di forza lavoro e smottamenti del sottosuolo difficili da non percepire nelle vicinanze. Israele ha mostrato i video, ha indicato che almeno venticinque infrastrutture di Hezbollah si trovano nelle vicinanze delle basi Unifil e ha spiegato perché è necessario che i soldati delle Nazioni Unite si spostino dalle aree dei combattimenti.  Tsahal ha detto che andrà avanti a combattere in Libano fino a quando non avrà smantellato tutto quello che il gruppo armato sciita  ha costruito al di sotto del fiume Leonte e che, secondo la risoluzione 1701 delle stesse Nazioni Unite, non dovrebbe trovarsi a tanta vicinanza dal confine con Israele. “Prima che iniziasse l’operazione di terra in Libano, Israele ha chiesto a Unifil di ritirarsi di cinque chilometri – dice al Foglio Sarit Ze’evi che con il suo istituto Alma center monitora da anni quello che accade lungo il confine nord dello stato ebraico – Unifil si è rifiutato”. 


“Israele non ha mai designato Unifil come un nemico e  mai lo farà. Sapeva però  che le infrastrutture di Hezbollah erano molto vicine alle basi dell’Onu: chiedere di spostarsi è una precauzione”. I paesi coinvolti nella missione dell’Onu, inclusa l’Italia, parlano di provocazioni inaccettabili  da parte di Israele e di “crimini di guerra”, come  ha detto il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, nel frattempo Israele sta continuando a mostrare perché per Tsahal è necessario operare vicino alle basi delle Nazioni Unite. Assaf Orion oggi lavora come analista per il Washington Institute, è esperto di strategia di difesa e da militare ha  preso parte agli incontri tra israeliani e libanesi intermediati dall’Unifil, conosce bene i meccanismi della Forza di interposizione: “Non sono un profeta, ma sono anni che ho avvisato che le cose sarebbero potute andare così. L’unico successo che Unifil può rivendicare è nell’intermediazione, ma non servono diecimila uomini per questo”. Si stimava però che servissero tanti uomini per evitare il ritorno della guerra in Libano e, per evitarlo, l’idea era di allontanare Hezbollah, che invece ha messo sempre più miliziani e sempre più mezzi  più vicini al confini israeliano. “Oggi Unifil si trova intrappolato nella guerra dopo anni di irrilevanza, Israele ha lanciato i suoi avvertimenti, ma le Nazioni Unite hanno insistito per rimanere, mettendo a rischio la vita dei soldati che non sono lì per combattere”. Israele nega di aver cercato di intimidire  gli uomini   dell’Onu  e accusa  Hezbollah di essersi  approfittata di Unifil per mettere al sicuro le sue infrastrutture. Orion insiste nel dire che oggi Unifil paga un fallimento iniziato da anni, “Unifil è parte della burocrazia dell’Onu, un’organizzazione che non fa mai tagli. Alla Forza in Libano è destinato mezzo miliardo di dollari all’anno, è un budget grande a cui nessuno è disposto a rinunciare”. Israele che oggi rimprovera a Unifil  di essere stato a guardare mentre la forza dei miliziani cresceva senza mai dare un allarme serio, fu però tra i paesi che approvarono il mandato della Forza di interposizione: “Fu un atto di fiducia – spiega Orion – e il problema non sta tanto nel mandato, quanto nella sua interpretazione. Israele credeva che fosse importante accettare Unifil per permettere che la situazione in Libano potesse cambiare senza la presenza di Tsahal, ma dopo poco è parso chiaro che  Hezbollah agiva  con atti di intimidazione contro i soldati, facendo intendere  cosa rischiavano a stare su un terreno tanto pericoloso”. Il gruppo libanese aveva capito che i paesi che avevano mandato i loro soldati in Libano non erano pronti ad accettarne i rischi. “Nel 2022 un soldato irlandese è stato ucciso da Hezbollah, ma ogni volta che Israele ha mostrato le prove di tunnel, di truppe, di depositi di armi, la risposta della Nazioni Unite è sempre stata che non potevano verificare. Unifil  si è ridotta a essere una forza cieca su un terreno pericoloso”. Israele assicura che non esiste nessuna campagna contro i soldati delle Nazioni Unite, continua a chiederne il ritiro per smantellare l’area più prossima al confine da cui ancora vengono lanciati razzi e droni: domenica sera due droni sono stati lanciati contro il territorio israeliano, uno non è stato intercettato e ha colpito la base di Benyamina uccidendo quattro soldati. Ieri i lanci sono continuati in tutto il territorio israeliano e sono partiti dall’area in cui Hezbollah, secondo la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, non è autorizzato a stare. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)