Così i disinformatori si adattano al nuovo mondo. Un'indagine (anche sull'Italia)

Giulia Pompili

Fake news e caos informativo sono diventati il principale asset di Russia e Cina, grazie alla nostra fragilità nel contrastarle

Ieri il primo ministro della Romania, Marcel Ciolacu, ha detto che “le autorità russe stanno disperatamente cercando di distogliere la Moldavia dal suo percorso europeo attraverso la disinformazione”. Ciolacu rispondeva a Maria Zakharova,  portavoce del ministero degli Esteri del Cremlino, che durante una conferenza stampa aveva detto che la Romania sta cercando di annettere la Moldavia. Le dichiarazioni di Zakharova, come sottolineato dal primo ministro romeno, fanno parte della strategia russa di alterare la narrazione della campagna per il referendum sull’ingresso nell’Ue che i cittadini moldavi voteranno domenica. 


Studi e analisi ci dicono che  elezioni, conflitti e crisi globali hanno dato la possibilità ad attori come Russia, Cina e Iran di aumentare il numero di strumenti e tattiche per creare il caos informativo soprattutto online, e ottenere vantaggi politici da quel caos. A maggio scorso, poco prima delle elezioni, l’Europa ha subìto uno dei maggiori flussi di disinformazione e misinformazione mai registrati: secondo un rapporto dell’Edmo (European Digital Media Observatory), l’importante piattaforma europea contro le influenze esterne, nella primavera del 2024 c’è stato un numero record di tentativi di manipolazione informativa, che però, secondo quanto riportato da Politico, non hanno avuto il successo sperato. Nel rapporto dell’Edmo si citano i casi più controversi, quelli in cui sono perfino le stesse piattaforme politiche a rilanciare fake news o immagini generate dall’intelligenza artificiale senza etichettarle esplicitamente come tali, per esempio, nel caso italiano, da parte della Lega di Matteo Salvini. Come molte altre istituzioni, l’Edmo sottolinea la pericolosità delle nuove tecnologie applicate alla disinformazione e alla narrazione alternativa della realtà, tecnologie che stanno cambiando, si stanno adattando, e rischiano di essere sempre più efficaci. 


In Italia non esiste un vero meccanismo intergovernativo e indipendente di contrasto alla disinformazione o che provi a fare quello che oggi viene chiamato pre-bunking, cioè l’attività di prevenzione delle fake news (materia  complessa ma in sperimentazione in diversi paesi). Un funzionario che si occupa di disinformazione, ma che preferisce restare anonimo perché non autorizzato a parlare ai media, spiega al Foglio che in Italia ci sono diversi uffici che svolgono lo stesso compito, “quello di monitorare”. Sono tutti coordinati da Palazzo Chigi che “a cadenza regolare” riunisce le amministrazioni pubbliche che hanno competenza sulla materia. Alla fine però il compito di vero contrasto è quasi esclusivamente in capo al dipartimento delle Informazioni per la sicurezza. Dall’inizio dell’anno al ministero degli Esteri è stato creato la Stratcom Unit, un ufficio che tra le altre cose studia e monitora la disinformazione internazionale, e poi c’è l’Agcom, che la scorsa primavera ha prodotto video informativi per responsabilizzare i lettori, da molti considerato un approccio superato, perché la responsabilità della propalazione di fake news è certamente in chi ci crede, ma anche in chi la diffonde: i creatori della disinformazione, i mezzi su cui si moltiplica, gli eventuali media e gruppi istituzionali che la rilanciano. 


Il primo passo è capire l’origine delle bugie. L’anno scorso l’Alliance for Securing Democracy del think tank  George Marshall Fund, l’Università di Amsterdam e l’Institute for Strategic Dialogue hanno sviluppato l’Information Laundromat, uno strumento online che si basa su informazioni open source e sfrutta l’intelligenza artificiale per scoprire somiglianze di contenuti e metadati tra siti internet che diffondono disinformazione. A maggio grazie all’Information Laundromat è stato scoperto che i siti di propaganda russa bloccati in Europa e in America riproducevano i loro contenuti in diverse lingue anche nei paesi dove non avrebbero potuto essere rilanciati. Lo strumento è utile e accurato, ma ha un problema che chiunque si occupi di contrasto alla disinformazione conosce bene: è costoso. “I governi investono troppo poco nel contrasto alla diffusione della disinformazione”, ci dice un’altra fonte, perché sebbene l’allarme sia globale è ancora difficile riconoscere come una minaccia  diretta alla sicurezza nazionale fake news e misinformazione. 

 

L’Italia è tra i paesi considerati più a rischio in Europa, anche perché manca di un coordinamento effettivo nel suo contrasto. “Gli attori qui sono più o meno noti, hanno caratteristiche anti-istituzionali che si ricollocano a seconda di quello che succede: con l’invasione dell’Ucraina, per esempio, tutti i No Vax si sono spostati su posizioni filorusse”, dice al Foglio una fonte anonima istituzionale. Secondo diversi studi, uno delle più facili forme di contrasto ai tentativi di disinformazione sarebbe la trasparenza, “le faccio un esempio: un funzionario pubblico scompare per giorni, e poi ricompare e prende in giro chi gli chiedeva conto delle sue attività e della sua agenda. Ma l’errore più grande è il suo, che presta il fianco a potenziali fake news sulla sua assenza”. NewGuard, fondata nel 2018 da Steven Brill e Gordon Crovitz, è una delle società più attive nel produrre analisi (e soluzioni) nel contrasto alla disinformazione, e monitora in tempo reale, anche a livello locale, la disinformazione e la misinformazione per esempio sulla guerra fra Ucraina e Russia e su quella fra Israele e Hamas. Per quest’ultimo conflitto, NewsGuard ha rilevato che “nel mese di ottobre il 74 per cento della misinformazione più virale sulla guerra su X (ex Twitter) proveniva da profili ‘verificati’ con la spunta blu”. Sarebbero loro, i superdiffusori di fake news, a trainare le vendite di contenuti sponsorizzati e pubblicità sul social di proprietà di Elon Musk. NewsGuard monitora 19 siti internet in italiano che pubblicano disinformazione sul conflitto in medio oriente e ben 45 che lo fanno sul conflitto in Ucraina. Tra questi c’è Faro di Roma, un popolare sito specializzato in notizie dal Vaticano, regolarmente registrato al tribunale di Roma nel 2015 e diretto da Salvatore Izzo, ex vaticanista dell’agenzia Agi. Secondo NewGuard Faro di Roma è da considerare ad alto rischio “perché viola gravemente gli standard giornalistici”, tra i quali la trasparenza dei finanziamenti: si presenta come un sito di news gestito da un’organizzazione non profit che però non viene identificata, e il portale genererebbe introiti tramite pubblicità, ma alla fine dello scorso anno sul sito appariva una sola pubblicità, quella di Italsav, un’azienda italiana specializzata in importazioni ed esportazioni da e verso Cuba. Faro di Roma ha pubblicato diverse storie di propaganda, come quella della strage di Bucha inventata e delle armi ucraine vendute ad Hamas, ed editoriali che fomentano la paura contro le istituzioni occidentali e a favore, per esempio, del corretto svolgimento delle elezioni in Venezuela. Gli stessi articoli, secondo l’Information Laundromat, si ritrovano poi su altri siti come occhisulmondo.info, anch’esso considerato ad alto rischio da NewsGuard. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.