I miliziani catturati in Libano raccontano che Hezbollah è allo sbaraglio

Micol Flammini

Unifil denuncia un nuovo attacco a una base, mentre va avanti la guerra tra Israele e il gruppo armato libanese

 Israele avrebbe deciso cosa colpire per rispondere all’attacco della Repubblica islamica dell’Iran, ora è questione di tempo e anche il giorno sarebbe stato stabilito. Teheran ha fatto sapere che è pronto a rispondere. In una telefonata con il segretario generale dell’Onu, António Guterres, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha avvertito:  “Pur compiendo tutti gli sforzi possibili per proteggere la pace e la sicurezza della regione, l’Iran è pienamente pronto a una risposta decisa a qualsiasi avventura” da parte di Israele. I progetti iraniani nella regione sono ormai noti e hanno poco a che fare con la pace, come dimostra la situazione in Libano, dove la guerra tra Israele e Hezbollah va avanti con le bombe, l’altra notte è stata colpita di nuovo Beirut, e con la caccia fino all’ultimo tunnel, da dove i soldati stanno tirando fuori alcuni membri delle forze Radwan. L’esercito israeliano ha rivelato di aver catturato tre combattenti e di uno ha mostrato gli spezzoni di un interrogatorio. Il  miliziano si chiama Wadah Kamal Yunis, è stato catturato dall’Unità 504, anche conosciuta come “il Mossad di Tsahal”, si tratta di un’unità speciale di intelligence che opera dentro all’esercito israeliano. Gli uomini portati in Israele per l’interrogatorio, incluso Yunis, hanno raccontato lo stato di dispersione di Hezbollah e  la fuga di molti funzionari dopo l’uccisione di Hassan Nasrallah. Yunis racconta che i suoi comandanti  sono scomparsi, ha poi attaccato le forze Radwan definendo i suoi membri: “Persone con scarsi princìpi religiosi, che si sono arruolate per farsi pagare e sono fuggite per paura delle forze israeliane”. Questo punto è importante, perché Yunis ritrae le forze Radwan non come uomini fedeli all’ideologia, fieri ingranaggi dell’“asse della resistenza” che l’Iran ha imbastito per attaccare Israele, ma come disoccupati pronti a combattere per soldi. Yunis ha raccontato che Hezbollah era arrivato a controllare la maggior parte dei villaggi del sud, tranne quelli cristiani, e fa il ritratto di un gruppo allo sbando, i cui vertici sono fuggiti e i sottoposti rimangono nascosti nei tunnel.  Si tratta di un interrogatorio con una telecamera, sono state mostrate le dichiarazioni  che fanno comodo per la battaglia dell’informazione. 
Le dichiarazioni di Yunis vanno calate nel contesto di un combattente catturato dall’esercito nemico, ma raccontano una situazione opposta rispetto a quella prospettata da Naim Qassem, il reggente di Hezbollah che non vuole diventare leader, ma che ogni settimana, da ormai tre settimane, lancia messaggi a Israele e al mondo. Qassem ha parlato martedì, ha detto che Hezbollah non lascia la battaglia, non è disorganizzato e un leader verrà scelto al momento giusto. Ha contraddetto il messaggio che aveva lanciato la scorsa settimana, quando aveva ammesso  di essere pronto ad accettare un cessate il fuoco separato dalla situazione a Gaza e   riaffermato la sua solidarietà a Hamas. Qassem non dà un’immagine di forza, non è carismatico, parla da una stanza buia – anche Nasrallah faceva i suoi discorsi da dentro ai suoi nascondigli, ma erano studiati fino all’ultimo dettaglio: lui compariva ben piazzato, seduto comodamente davanti a una bandiera o uno sfondo che fosse d’impatto – è confuso sulla strategia.  Ieri Israele ha colpito Nabatieh, una città nel sud del Libano, durante l’attacco è stato colpito il municipio, dove si trovava il sindaco con altri funzionari. Tsahal aveva lanciato un ordine di evacuazione, ma il sindaco aveva detto alla stampa che sarebbe rimasto, nonostante Nabatieh sia considerata una delle roccaforti di Hezbollah. Il numero delle vittime in Libano, secondo le autorità libanesi, è di oltre duemila persone, secondo Israele più di novecentosessanta sono membri di Hezbollah. Lo stato ebraico ha detto di essere intenzionato a combattere fino a quando il gruppo armato non si sarà ritirato al di là del fiume Leonte, come stabilito dalla risoluzione 1701 dell’Onu. Ieri la Forze di interposizione Unifil, sul posto per sorvegliare il rispetto della risoluzione, hanno riferito che nella postazione di  Kafer Kela   un carro armato israeliano ha colpito una torre di guardia.  Per il momento non ci immagini, né dichiarazioni da parte di Tsahal.  

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)