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Le analisi

L'Ue vista dai nostri vicini in guerra, con un misto di amore e sconforto

Valeria Manieri

Lo scrittore ucraino Andrei Kurkov e l’avvocato siriano Anwar al Bounni ci raccontano le loro attese sull’Europa e su quale ruolo dovrebbe avere nella difesa di Kyiv contro la Russia di Vladimir Putin

L’Unione europea sta per cambiare i suoi volti con l’inizio delle audizioni per la nuova Commissione, ma i tanti fronti internazionali continuano a rimanere aperti, la crisi mediorientale, le incertezze sull’Ucraina: come andare avanti, come non distogliere attenzione, risorse, come tenere in qualche modo il timone fermo e trovare una voce unica? Per di più in questo momento sospeso, in attesa della fine della ricreazione statunitense con il voto del 5 novembre. L’Ue è afflitta da gravi cecità e pigrizia politiche che hanno portato molti dei Ventisette a non vedere cosa accadeva a est, a flirtare con Mosca, e ancora oggi applica doppie o triple morali su Iran, Siria, Libano, Cina e su Israele. Le contraddizioni europee diventano ancora più evidenti quando si ha il piacere di dialogare con Anwar al Bounni, avvocato siriano che si occupa di diritto umanitario. Al Bounni ha sempre difeso i dissidenti contrari al regime di Bashar el Assad, lui stesso ha trascorso cinque anni in detenzione. Nominato prigioniero di coscienza da Amnesty International, è una voce informata e autorevole di quanto accade in Siria dove ormai, come lui stesso ci dice, è in atto “non una guerra civile, ma una guerra contro i civili. Assad ha ucciso il suo stesso popolo con il gas, è ancora lì, di fatto, per volere dell’occidente”. In un mondo normale sarebbe da anni alla Corte penale internazionale.

Oggi si parla unicamente di quanto accade tra Israele e Gaza, ora il Libano, passando per l’Iran. La Siria non viene quasi più nominata e di fatto Assad stesso, che mira a conservare posto e potere, si tiene in disparte dalla crisi nella regione. “Il regime sta cercando di sopravvivere in Siria, non è interessato al destino dei palestinesi – dice al Bounni –  E in ogni caso sia Hamas sia Hezbollah non sono preoccupati dei palestinesi, sono preoccupati unicamente di loro stessi. A nessuno importa davvero di creare uno stato di Palestina. Sia Hamas sia Hezbollah hanno nel complesso ammazzato lo stesso numero di palestinesi uccisi da Israele”. Di questo effettivamente anche qui in Europa se ne parla pochino: “La regione che noi chiamiamo Sham, che comprende la Siria, la Palestina, la Giordania, il Libano – continua  al Bounni – è un quadrante dove si sta svolgendo, non da adesso e non dal 7 ottobre, una guerra per procura per conto di altre potenze e tutti i civili in queste aree stanno pagando un prezzo altissimo. Sfortunatamente nessuno vuole davvero fermare il conflitto, storicamente c’è sempre stato qualcuno a non volere la pace: dai drusi ai farsi, dagli ottomani all’Unione sovietica e poi la Russia e gli Stati Uniti”. L’Europa come sappiamo non ha mai davvero combinato molto in quell’area, non ha nemmeno fatto qualcosa per impedire che Assad fosse ancora lì, ma ci vuole anche l’Europa per uscire da questa involuzione senza fine: “Non dipende dai siriani. Ci vuole un accordo internazionale per uscirne in qualche modo. In Siria ma non solo in Siria. Palestina Siria e Libano hanno bisogno di un accordo tra i grandi, che qualcuno faccia da garante.”  

Il conflitto che invece ci spaventa di più perché alle porte di casa, eppure sul quale mostriamo incredibili debolezze, è ancora quello ucraino. Lo scrittore ucraino Andrei Kurkov, che con L’orecchio di Kyiv è stato finalista al Premio Strega europeo, non è un illuso sul destino ucraino, ma crede nella resistenza del suo paese, vede nell’Ue l’àncora di salvezza per Kyiv e un seme per la sua rinascita. Un po’ ci rincuora, ma non dura moltissimo. Nonostante siano passati due anni e mezzo dall’inizio di questa guerra fuori dal tempo e dal mondo, Kurkov ricorda bene i tentennamenti europei tra i più grandi, che peraltro permangono. Ci ricorda che nel 2022 l’esercito ucraino ha liberato Kyiv “senza bisogno di armi europee ed è successa la stessa cosa a Kherson. Questo perché? Perché i leader europei non si decidevano su cosa, come e quanto dare”. Ricordate i tempi in cui la Germania voleva inviare cinquemila giubbotti antiproiettili, cinquemila elmetti e basta, non si parlava nemmeno di munizioni? Kurkov se lo ricorda benissimo e sorride amaro:  “Le cose sono cambiate nella seconda parte del 2022 e all’inizio del 2023 delle armi, ma dal 2023 stesso il flusso di armi è diminuito e questo è un grosso problema”. Gli europei si incartano di continuo e Kurkov li incalza: “L’Europa deve capire che questa guerra si combatte su tre livelli. Il primo è l’imperialismo russo, una Russia che vuole espandersi e riconquistare le vecchie province sovietiche e ovviamente l’Ucraina per intero. Il secondo livello è la distruzione della cultura e dell’identità ucraina: non a caso più di mille biblioteche sono state distrutte, in molte scuole e università nei territori conquistati si parla esclusivamente russo”. E poi c’è il terzo livello, il più preoccupante per noi europei: “La  geopolitica! Questa è una guerra per procura. Tra Corea del nord, Iran, Russia, le dittature dunque, con l’aiuto della Cina,  che sfidano apertamente le democrazie: l’Europa, gli Stati Uniti”.

Chissà se Kurkov ci crede davvero in questa idea dell’Ucraina nell’Ue o se non sia meglio puntare prima sulla Nato. Lo scrittore ucraino sogna, ma con il piglio del ragioniere: “Non credo che per noi i tempi siano brevi: non penso che qualcosa accadrà prima che la guerra sia finita. E’ più realistico per l’Ucraina aderire però all’Unione europea che alla Nato. Questo perché la maggior parte dei membri europei è positiva rispetto all’ingresso dell’Ucraina nell’Ue, ha visto che gli ucraini difendono veramente e con la loro vita i valori europei in questi difficilissimi anni. Ci sono aspettative, anche perché se prima l’Ue era basata soprattutto su aspetti economici e commerciali, adesso, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, si basa anche sui valori democratici che non sono più – e forse non devono più essere – dati per scontati”. Il discorso è diverso per la Nato, “la prospettiva è molto lontana, anche perché l’Ucraina non è in grado di contribuire al budget dell’Alleanza in nessun modo, vive grazie ai fondi di organizzazioni internazionali come l’Fmi, ci vorranno almeno 20 anni prima che venga ricostruita”. E sapremo ricostruirla con gli ucraini, almeno questo l’Europa saprà farlo in modo unitario? “Dobbiamo capire che tipo di fine della guerra avremo – dice Kurkov – Se sarà una tregua, sarà veramente una pace firmata, con delle garanzie da parte delle grandi potenze come gli Stati Uniti e l’Europa. Non c’è alcuna fiducia in Ucraina nei confronti della Russia che nei decenni ha rotto sempre ogni promessa. Se ci fosse una pace reale, duratura, un accordo vero, con garanzie, sono convinto che migliaia di europei verrebbero in Ucraina per ricostruire il paese e Kyiv entrerebbe direttamente nella vita europea a livello culturale, sociale, politico. Però bisogna ricordare che il 30 per cento almeno dell’Ucraina è stato distrutto, che il 90 per cento delle stazioni elettriche non c’è più, che anche ora, nelle prossime settimane e per quest’inverno, secondo gli esperti l’Ucraina avrà al massimo 12 ore di elettricità al giorno nella migliore delle ipotesi e nel peggiore dei casi quattro, e quindi una economia al collasso”.

Insomma, l’Europa garante, l’Europa arbitro, l’Europa della ricostruzione, l’Europa dei cocci rotti che tocca rimettere insieme in qualche modo, quando e se arriverà mai quel momento, cercando un’unità e un potere negoziale che oggi si vedono poco.