il consiglio europeo
In Europa s'è imposto il piano politico italiano sui migranti, vicino a Orbán ma più pragmatico
Il Consiglio europeo di oggi non riuscirà ad adottare conclusioni su migrazione e asilo perché Ungheria e Polonia non vogliono dare l’impressione di dare il loro assenso al Patto. Ma i 27 hanno imboccato una direzione impensabile un paio di anni fa
Bruxelles. Giorgia Meloni, insieme a Viktor Orbán, ha vinto la battaglia politica sui migranti nell’Unione europea. Anche se il Consiglio europeo di oggi non riuscirà ad adottare conclusioni su migrazione e asilo, i capi di stato e di governo hanno imboccato una direzione che era ritenuta impensabile appena un paio di anni fa. “Verso destra”, secondo le parole di un alto funzionario dell’Ue. Protocollo Albania, “hub di rimpatrio”, iniziative per rimpatriare i rifugiati siriani: gli strumenti sono diversi e gli esperti dubitano della loro efficacia o legalità. Ma sul piano politico è prevalsa la linea Meloni. Dentro il Consiglio europeo ciò che divide sono le quote di ridistribuzione dei richiedenti asilo, le frontiere interne a Schengen, la ripresa dei trasferimenti dei cosiddetti “dublinanti” nei paesi di primo ingresso. E’ quella che nell’Ue è chiamata “dimensione interna” delle politiche migratorie.
Se i leader non riusciranno ad approvare conclusioni al vertice di oggi è perché Ungheria e Polonia non vogliono dare l’impressione di dare il loro assenso al Patto su migrazione e asilo, che prevede più solidarietà con i paesi di primo ingresso in cambio di più responsabilità. Sulla “dimensione esterna”, invece, c’è un consenso quasi generale attorno alla linea Meloni (l’eccezione è lo spagnolo Pedro Sánchez). Lo dimostrano l’interesse per il protocollo tra Italia e Albania, la promessa di Ursula von der Leyen di lavorare per la creazione di “hub di rimpatrio” nei paesi terzi, o la generalizzazione degli accordi con la sponda sud del Mediterraneo per frenare le partenze. Il presidente del Consiglio questa mattina si riunirà con i premier di Paesi Bassi (il tecnico Dick Schoof alla guida di un governo di destra dura) e Danimarca (la socialista Mette Frederiksen) un gruppo di leader che vuole indurire ulteriormente le politiche migratorie, in particolare riducendo al minimo le tutele previste sui rimpatri. Meloni sta anche spingendo per un meccanismo che consenta più rimpatri volontari di rifugiati siriani in Siria. I bombardamenti israeliani in Libano – paese che ospita 1,2 milioni di rifugiati siriani – fa temere una nuova crisi dei rifugiati in stile 2015 nell’Ue. “Ciprioti e greci sono terrorizzati”, spiega un diplomatico.
Orbán e Meloni si muovono in modo diverso nell’Ue, ma nella stessa direzione: chiudere le frontiere erigendo l’Europa fortezza. Il premier ungherese vuole impedire a tutti i migranti di entrare, incurante delle regole internazionali o della compassione umana. La presidente del Consiglio italiano, invece, si mostra pragmatica e rispettosa di alcuni princìpi fondamentali. È bastato questo a Meloni per farsi ascoltare, mentre Orbán continua a essere messo al bando. Anche i modelli proposti dai due leader sono simili, ma diversi. Il protocollo con l’Albania non prevede respingimenti (i migranti non entrano nelle acque territoriali dell’Ue) e garantisce il diritto di asilo, ma le procedure vengono esternalizzate in un paese terzo. Decine di migliaia di migranti salvati in mare continueranno a essere sbarcati in Italia. Orbán propone “hotspot esterni”, dove effettuare le procedure di asilo, ma impedendo a tutti i migranti di entrare nell’Ue, perché nella maggior parte dei casi, una volta entrati, non si riescono a rimpatriare. Il terzo modello sono “gli hub di rimpatrio” promossi da von der Leyen: centri in paesi terzi, dove deportare i migranti che sono stati espulsi da stati membri dell’Ue, ma non possono essere rimpatriati nei loro paesi d’origine.
Il paradosso è che gli stessi diplomatici dei paesi che si sono accodati alla linea Meloni sollevano forti dubbi sull’efficacia o la fattibilità delle cosiddette “soluzioni innovative”. Francia e Germania ritengono che il protocollo con l’Albania non farà la differenza in termini di numeri. Appena raggiunta la quota di mille migranti da rimpatriare, i centri saranno pieni e dovranno restare lì per 18 mesi o essere trasferiti in Italia. Il protocollo potrebbe anche non reggere a un ricorso davanti alla Corte di giustizia dell’Ue. Gli “hub di rimpatrio” violano le regole attuali dell’Ue. Lo ha riconosciuto la stessa Commissione, annunciando la possibilità di un emendamento. Inoltre difficilmente i paesi dei Balcani accetteranno di accogliere sul loro territorio questi centri di concentramento in attesa di deportazione. Gli “hotspot esterni” di Orbán vanno contro il sacro principio di non respingimento. Ma con l’estrema destra che cresce nelle urne, presi dal panico, i leader politici hanno bisogno di mostrarsi duri sull’immigrazione. “C’è una forte componente di effetto ottico”, ammette un ambasciatore.