Gli scanner più controversi di Cina arrivano nei porti italiani
La Nuctech vince un appalto per installare i suoi apparecchi che dovrebbero controllare le navi cargo in Italia
L'indagine della Commissione europea e gli allarmi dell'America e della Lituania riguardo all'azienda parzialmente controllata dal governo cinese. Eppure Huawei era stata esclusa dal nostro 5G per motivi di sicurezza . Il nodo da sciogliere da Palazzo Chigi, fra appeasement con Pechino e sicurezza nazionale
Il colosso cinese degli scanner Nuctech, in parte di proprietà del governo di Pechino, qualche settimana fa ha vinto due bandi di gara dell’Agenzia delle dogane italiana per l’istallazione di sei scanner mobili per altrettanti porti italiani e quattro scanner a retrodiffusione di raggi X per gli uffici dell’Agenzia. L’offerta della cinese Nuctech è stata valutata la migliore rispetto alle concorrenti, per esempio l’inglese Smiths Detection, perché decisamente meno costosa nel caso dei primi sei scanner da istallare nei porti – sette milioni di euro in meno rispetto al prezzo di gara – e più veloci nella consegna dell’attrezzatura. Secondo il South China Morning Post, che per primo ieri ha dato la notizia, il costo complessivo per l’Agenzia delle Dogane sarebbe di 15 milioni di euro che arriverebbero dai fondi del Pnrr. Nuctech non è un’azienda qualsiasi, e se ne parla da anni: leader nel settore degli scanner, è presente in 25 paesi dell’Ue nonostante molte riserve sulla sicurezza.
Nel 2020 Washington l’ha inserita nella lista nera delle aziende cinesi che non possono operare in America, e ad aprile scorso funzionari della Commissione Ue hanno fatto “un’ispezione a sorpresa” negli uffici Nuctech in Polonia e Paesi Bassi, dopo aver aperto un’indagine, ancora in corso, su eventuali sussidi statali ricevuti dall’azienda che avrebbero manipolato il mercato europeo. Tre anni fa la Lituania è stato il primo paese europeo a bloccare le forniture da parte di Nuctech, presenti soprattutto negli aeroporti europei, perché secondo i suoi analisti la società sarebbe stata in grado di raccogliere dati su passeggeri e bagagli: secondo la legge cinese sulla sicurezza del 2017, le aziende cinesi, se richiesto, sono obbligate a mettere a disposizione quei dati ai servizi di intelligence. L’attenzione cinese ai porti, soprattutto a quelli italiani, è nota da tempo. Il 18 giugno scorso, su segnalazione dell’intelligence americana, sono stati sequestrati al porto di Gioia Tauro due droni Wing Loong 2 nascosti in un cargo cinese e destinati alla Libia del generale Khalifa Haftar. Attraverso il Golden power italiano, una delle norme sul controllo degli investimenti stranieri più potente a livello europeo, il governo italiano ha bloccato diverse acquisizioni in Italia da parte della Cina e, ai tempi del governo Draghi, ha usato i poteri speciali pure per fermare l’uso di componenti della cinese Huawei nella rete strategica del 5G italiana.
Eppure il caso della Nuctech nei porti italiani sembra essere passato inosservato, e rischia adesso di essere particolarmente complicato da risolvere per Palazzo Chigi. Bloccare ora l’acquisizione significherebbe dover affrontare un eventuale ricorso al Tar da parte di Nuctech e l’ira diplomatica di Pechino. Rebecca Arcesati, analista del Merics, spiega al Foglio che in questa vicenda non è applicabile il controllo degli investimenti da parte dell’Ue. Il caso dovrebbe essere sollevato dal ministero dell’Economia guidato da Giorgetti, che controlla l’Agenzia delle Dogane, o da quello dei Trasporti di Salvini, che a fine settembre in un discorso all’ambasciata cinese a Roma ha detto: “Siete un modello dal punto di vista dello sviluppo di ponti, porti, aeroporti”. Fondata nel 1997 e per anni guidata da Hu Haifeng, figlio dell’ex presidente cinese Hu Jintao, Nuctech è legata Tsinghua Tongfang, che è in parte di proprietà della statale China national nuclear corporation. Secondo i dati consultati dal Financial Times, negli ultimi 10 anni Nuctech avrebbe vinto 160 gare in Europa, l’ultima a marzo scorso per l’istallazione di alcuni scanner nella città polacca di Rzeszów, principale centro di smistamento delle armi all’Ucraina.