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il racconto da tel aviv

La capanna di Sukot nella Piazza degli Ostaggi: nuovo centro di memoria, protesta e unità

Fiammetta Martegani

Il piazzale del Museo di Arte di Tel Aviv da più di un anno è diventato il quartier generale delle famiglie di chi è ancora prigioniero a Gaza. Solidarietà e speranza in una mostra collettiva

Tel Aviv. Sukkot, la festa delle capanne, è una tradizione che ricorda il periodo in cui il popolo ebraico attraversò il deserto, vivendo in alloggi improvvisati per raggiungere la Terra promessa. Da secoli questa festività si celebra in tutto il mondo allestendo per una settimana una capanna di legno e foglie di palme. Proprio durante l’ultimo giorno di questa festività, a Simcha torà, è stato compiuto il massacro di Hamas nei kibbutz ai confini della Striscia, dove sono state rapite 250 persone. Per questo, nel corso di questa settimana, è stata allestita una lunga capanna, con 101 posti a sedere, quanti i rapiti ancora a Gaza, davanti al piazzale del Museo di Arte di Tel Aviv - Tama, oggi ribattezzato “Piazza degli Ostaggi”: da più di un anno  questo piazzale, a ridosso della Kirya, il ministero della Difesa, è diventato il quartier generale delle famiglie di chi è ancora prigioniero a Gaza.

La storia di questo piazzale come luogo di ritrovo e di protesta ha inizio fin dalla fondazione del Tama, nel 1971, quando allora persino il personale medico dell’ospedale Ichilov, a pochi passi dal museo, scese in piazza per chiedere che lo stato sostenesse l’arte, in quanto libera espressione di un popolo. Non sorprende che nel 2023, in concomitanza con il movimento contro la riforma giudiziaria portata avanti dal governo, sia stata esposta sulla facciata del Tama l’immagine della Dichiarazione d’indipendenza. Come ci spiega la direttrice del Tama, Tania Coen Uzzielli, “fin dalla sua fondazione c’è sempre stato un rapporto dialettico tra la piazza e il museo, dialogo che non ha fatto che intensificarsi nel corso di questa guerra, sia per offrire un posto di rifugio, mentre Tel Aviv era costantemente sotto attacco missilistico, alle famiglie degli ostaggi e a chi si trovava con loro a sostenerli, sia lasciando loro a disposizione spazi del museo in cui potevano trovarsi per discutere o anche solo per proteggersi dal caldo o dal freddo. Nel momento in cui il piazzale del museo si è trasformato in Piazza degli Ostaggi, abbiamo aperto le porte della nostra istituzione, che è anche pubblica, per far sapere a tutti famigliari dei rapiti, molti a loro volta sopravvissuti alla strage del 7 ottobre e rimasti senza casa, che il museo sarebbe sempre stato per loro una seconda casa”.


Oggi, proprio presso il Tama, è allestita I Don’t Want to Forget: una mostra collettiva di artisti israeliani di fama internazionale che, attraverso la propria arte, ricordano la sofferenza e le conseguenze drammatiche di quell’interminabile Sabato Nero, non ancora finito, mentre fuori dal museo, nel piazzale, oltre alle opere di artisti del calibro di Menashe Kadishman e Henry Moore una nuova opera cattura l’occhio dei passanti: il “Viale dei cipressi” di Micheal Rovner, un’installazione di 36 cipressi per ricordare i 36 ostaggi uccisi nella Striscia.


Eyal Dayan e Itzik Chengel, proprietari del Caffè Ariela, ai piedi della Biblioteca comunale, nello stesso piazzale, fin dai primi giorni di ottobre, mentre la città era deserta, hanno aperto le porte del loro locale a tutti i famigliari degli ostaggi, offrendo cibo, ristoro e un sorriso, proprio in quei giorni di lutto. Come ci raccontano, “tenere aperto, mentre tutti i bar di Tel Aviv erano chiusi, era diventato un modo non solo per aiutare le famiglie degli ostaggi ma anche per creare un punto di riferimento. Ci siamo messi a preparare pasti per le famiglie degli ostaggi e per i soldati: non si trattava di aiutare solo loro, ma anche noi stessi e tutti gli israeliani che, subito, si sono offerti volontari. In quei giorni di buio e disperazione rimanere aperti è stato per noi non solo un dovere morale, ma anche un modo per rimanere uniti, mandare un messaggio di speranza, per dire che non potevamo, e non dovevamo, arrenderci. Questa è sempre stata e sempre sarà la forza del nostro paese”. Eyal e Itzik sognano il giorno in cui “in questa piazza potremo organizzare un rave a cui parteciperanno tutti i sopravvissuti del Nova e tutti gli ostaggi che sono tornati a casa”. 

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