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Harris vs. Trump - 14

Tutti gli strumenti di cui Trump si sta dotando per vincere anche se perde

Giulio Silvano

L'ex presidente americano porta avanti la campagna elettorale con una retorica incendiaria, mentre i repubblicani cercano di calmare i toni a due settimane dal voto. Si teme un nuovo 6 gennaio per contestare i risultati elettorali

Da mesi, e soprattutto da quando il candidato democratico alla presidenza non è più Joe Biden, molti repubblicani cercano di gettare acqua sulle frasi incendiarie del candidato del loro partito alle presidenziali del 5 novembre, Donald Trump. L’ha fatto Mike Johnson, il trumpiano speaker della Camera, in un’intervista di due giorni, rassicurando gli americani: l’ex presidente non è una minaccia per la democrazia.

L’ha fatto anche il candidato vice di Trump, il senatore J. D. Vance, nel dibattito composto e quasi noioso contro il candidato vice di Kamala Harris, Tim Walz – anche se non è riuscito a dire che Trump nel 2020 ha perso. Nonostante questi tentativi, l’ex presidente continua, a due settimane dal voto, a portare avanti una retorica aggressiva che cerca di dipingere i democratici come una forza avversaria da distruggere e punire. Ha detto anche di essere pronto a combattere “i nemici dall’interno” con l’esercito, inclusi i “pazzi della sinistra radicale”, come in passato ha detto che il primo giorno della sua nuova presidenza si comporterà “da dittatore”. Ha suggerito che alcuni politici democratici, come l’ex speaker Nancy Pelosi o il deputato Adam Schiff, sono più pericolosi di nemici esterni come Russia e Cina. “Queste persone”, ha detto parlando di Pelosi e di suo marito – ferito nel 2020 dalle martellate di un seguace di Trump – “sono malati, sono così cattivi”.

“E’ antiamericano”, ha risposto Walz. “Sappiamo con chi se la prenderà: giornalisti, funzionari elettorali e giudici. Per questo credo che un secondo mandato di Trump sarebbe pericoloso”, ha detto Kamala Harris in un comizio in Pennsylvania, stato chiave dove sta facendo una grossa campagna elettorale. Non c’è solo la paura di ripercussioni. C’è anche la paura di un secondo 6 gennaio, un tentativo di colpo di stato nella fase di certificazione dei voti, questa volta più strutturato. Trump l’ha già detto chiaramente: “Se i democratici vincono è perché hanno rubato voti”. Politico ha studiato i possibili strumenti che Trump, perdendo al voto, potrebbe comunque usare per provare a entrare alla Casa Bianca. Per prima cosa a livello retorico cercherebbe, come sta già facendo, di mostrare che le elezioni sono falsate, che è impossibile che lui perda. Ha già ripetuto che non dà per scontato “un passaggio di potere pacifico”.

Sfruttando i meccanismi costituzionali, Trump potrebbe usare i politici a lui fedeli nei posti chiave – contee, stati – per non certificare i voti e, negli stati chiave controllati dai repubblicani, chiederebbe di far sostituire i grandi elettori (ne servono 270 per la presidenza) con persone sotto il suo controllo, limitando il potere degli elettori democratici da inviare a Washington. Poi, quando questi elettori inviano la propria decisione al Congresso tramite i governatori, la camera forse ancora controllata dai trumpiani potrebbe facilitare un conteggio favorevole a Trump (importante differenza: nel 2020 la Camera era sotto il controllo dei democratici). Un quinto del Congresso può chiedere riconteggi e dibattiti ulteriori in seduta plenaria, e in quel caso, con gli elettori trumpiani scelti dai legislatori degli swing state, si potrebbe arrivare a un limbo in cui non si certifica il voto, limbo che potrebbe essere facilitato dallo speaker fedele Johnson. In questo caso con le giuste manovre il potere di scelta passerebbe alla Camera, dove i 270 voti degli elettori passano alle delegazioni dei deputati, che in questo momento sono 26 per i repubblicani e 22 per i democratici. In questo caso i repubblicani potrebbero scegliere di votare Trump, che diventerebbe presidente.

Ovviamente questo piano non è stato esplicitato da nessun personaggio di spicco del Partito repubblicano, ma in alcune contee sono già stati segnalati dei tentativi di minaccia verso chi lavora ai seggi, e alcuni di questi meccanismi erano già stati attivati nel 2020, senza poi avere successo. La folla aizzata il 6 gennaio era proprio il risultato del fallimento di un piano del genere. Da allora però la forza trumpiana nelle amministrazioni statali si è rafforzata – sono stati epurati molti “infedeli” – e questa volta il tentativo potrebbe essere più efficace. Inoltre, sono già state registrate pressioni interne sui legislatori che controllano il sistema elettorale dei singoli stati in tutte le fasi del processo. Tutto dipende dalla coordinazione dei repubblicani, dal loro margine di vittoria alle urne, e dalla resistenza interna nel partito.