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sicurezza

Il dibattito tedesco sui legami (stretti) tra intelligence e antiterrorismo

Lorenzo Monfregola

L'arresto di un libico che stava pianificando un attentato terroristico contro l'ambasciata israeliana a Berlino è avvenuto grazie a una segnalazione “di un’agenzia d’intelligence straniera”. Il Germania si discute a proposito dei troppi lacci normativi e burocratici dei servizi segreti

Berlino. La sera del 19 ottobre scorso le squadre antiterrorismo della polizia tedesca hanno arrestato un 28enne libico a Bernau, nel Land del Brandeburgo, a pochi chilometri da Berlino. L’uomo, Omar A., è accusato di aver pianificato un attacco terroristico in nome dell’Isis contro l’ambasciata d’Israele nella capitale tedesca. L’uomo non era noto come estremista, era arrivato in Germania nel 2022, ma la sua richiesta d’asilo era stata rifiutata già nel settembre 2023. La Procura generale federale, che si occupa dei reati contro lo stato tedesco, si occuperà delle indagini. Dettaglio importante: il raid della polizia in Brandeburgo è scattato dopo una segnalazione “di un’agenzia d’intelligence straniera” alle autorità tedesche (dopo le intercettazioni di una chat). Una dinamica che compare ormai sempre più spesso nelle operazioni antiterrorismo in Germania, soprattutto quando si tratta di islamismo radicale. Segnalazioni di questo tipo possono ad esempio arrivare da agenzie americane, israeliane o altri partner, oppure dai servizi dei paesi di origine di un sospettato. La collaborazione tra agenzie è sempre considerata un meccanismo di successo, ma in Germania ci si chiede ugualmente se l’intelligence tedesca non dipenda troppo dall’aiuto esterno.

 

L’opposizione parlamentare della Cdu e diversi ambienti di sicurezza infatti in questi giorni ripetono: i servizi tedeschi Bnd (estero) e BfV (interno, più gli uffici locali LfV) hanno capacità e preparazione per fare di più nella lotta al terrorismo, ma hanno troppi lacci normativi e burocratici rispetto ad altri paesi. Dall’area cristiano-democratica viene chiesta una maggiore libertà per l’intelligence nella raccolta dati, in merito al data retention e nel monitoraggio preventivo allo scopo di antiterrorismo. Si riapre così un dibattito molto delicato. La scorsa settimana il presidente del Bnd Bruno Kahl ha sottolineato durante un’audizione parlamentare come per l’intelligence sia necessaria una maggiore “libertà operativa”. Il presidente non si è espresso su dettagli o indicazioni specifiche, ma il tema è presente da tempo. L’usanza tedesca di riferire dopo un’operazione di antiterrorismo o di controspionaggio se ci sia stato il contributo di un partner straniero – cosa che non tutti i paesi fanno – rende probabilmente la questione più evidente che altrove. Resta il fatto che l’aiuto dall’estero è comparso, più o meno risolutivamente, in molte operazioni tedesche degli ultimi anni: l’arresto nel gennaio 2023 a Castrop-Rauxel di un cittadino iraniano accusato di preparare un attacco chimico; l’arresto nell’ottobre 2023 a Duisburg di Tarik S., già foreign fighter in Siria e già in precedenza incarcerato in Germania, ora accusato di aver voluto attaccare una manifestazione pro-israeliana; l’arresto a fine novembre 2023 di due adolescenti sospettati di voler assalire il mercatino di Natale di Leverkusen. Il piano di un attentato contro il ceo di Rheinmetall, Armin Papperger, a inizio 2024 sarebbe stato scoperto innanzitutto dall’intelligence americana, mentre anche l’arresto di una talpa pro Russia nello stesso Bnd  tedesco, nel dicembre 2022, avrebbe avuto un importante contributo dall’estero.

  

Commentando l’arresto del libico Omar A. di sabato scorso, il capo dell’Ufficio di intelligence domestica del Land della Turingia, Stephan Kramer, ha dichiarato che il fatto che sia stato nuovamente cruciale l’aiuto di un servizio estero impone di “parlare finalmente e strutturalmente dei poteri dei servizi segreti tedeschi nel raccogliere informazioni e dati”, visto che una prossima volta una decisiva indicazione da un partner estero potrebbe arrivare “troppo tardi”.

 

Il dibattito politico sul tema è emerso inoltre lo scorso 18 ottobre, quando il Bundesrat, la camera dei Länder, non ha approvato la sezione sull’antiterrorismo del nuovo pacchetto sicurezza del governo Scholz, con grande irritazione della maggioranza. Il pacchetto è stato formulato in risposta all’attacco islamista di Solingen dello scorso 23 agosto. La Cdu  si è però opposta alla parte sull’antiterrorismo perché la ritiene insufficiente, domandando ad esempio ancora più spazio d’azione per servizi e polizia nell’uso del riconoscimento facciale e inserendo nuovamente il tema della conservazione dei dati. Al di là di quale sarà il destino del pacchetto sicurezza, lo scontro politico è destinato a rimanere. Partiti come i Verdi e i liberali Fdp  restano contrari ad alleggerire i lacci nell’accesso ai dati digitali e delle telecomunicazioni. Per la Fdp, ad esempio, le politiche di privacy e protezione dati sono un tema storico. La delicatezza del dibattito in Germania non può stupire, vista la memoria del totalitarismo nazista e, ancora più recentemente, quella del paranoico regime comunista della Ddr.

 

Resta tuttavia evidente che Berlino dovrà rendere i propri servizi esteri e interni più agili nell’antiterrorismo e nel controspionaggio, in uno scenario di rischio innegabilmente aumentato. Se con l’invasione dell’Ucraina la Germania ha dovuto dar vita a una “svolta epocale” sulla questione militare, anche il dossier intelligence potrebbe vedere un’accelerazione.

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