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L'ingresso nei Brics si spiega con l'identità non binaria della Turchia di Erdogan

Mariano Giustino

Ciò che indirizza l’asse della politica estera turca sono ragioni profonde di visione e di convinzioni ideologiche e strategiche assieme all’opportunità di integrare le relazioni con l’occidente, anche nella speranza di superare le drammatiche difficoltà economiche in cui versa il paese

Ankara. Lo storico vertice dei Brics in espansione che si aperto a Kazan, in Russia, e vede un invitato del tutto particolare, uno dei membri più preziosi della Nato e sulla carta ancora candidato all’ingresso nell’Unione europea. Se a questo aggiungiamo che l’alleato Nato ha presentato richiesta formale di adesione ai Brics appare ancora più sorprendente tale presenza. Perché la Turchia vuole aderire ai Brics e Mosca sembra sostenerne con forza la candidatura? Si potrebbe pensare che Ankara abbia presentato la domanda di adesione all’alleanza dei Brics in espansione semplicemente perché si sente frustrata dall’Unione europea che l’ha di fatto esclusa dal processo di allargamento e per l’ostinato rifiuto di Bruxelles, dal 2016, di ampliare l’accordo di Unione doganale del 1996 e forse anche per il fatto che, da quando nel 2019 ha acquistato il sistema di difesa missilistico russo S-400, è tenuta a distanza da Washington. Ma in realtà ciò che indirizza l’asse della politica estera turca sono ragioni profonde di visione e di convinzioni ideologiche e strategiche assieme all’opportunità di integrare le relazioni con l’occidente, anche nella speranza di superare le drammatiche difficoltà economiche in cui versa il paese. Erdogan è convinto che è sempre meglio mangiare a entrambi i matrimoni, quando si ha la possibilità di parteciparvi.

 

Costruendo una cooperazione sia con l’occidente sia con l’oriente. Il leader turco ha chiarito che è un errore guardare la politica estera turca dalle finestre delle capitali occidentali invece di osservarla e comprenderla attraverso la “prospettiva del Bosforo” e ha aggiunto che “come nella metafora della bussola di Mevlana, la Turchia terrà orientate le estremità dell’ago sempre verso gli interessi del paese abbracciando il mondo intero”. In sostanza Erdogan vede la politica estera turca proiettata a 360 gradi, ciò richiede il rafforzamento delle relazioni con l’oriente e l’avanzamento della radicata cooperazione con l’occidente. La convinzione del leader turco è che qualsiasi visione diversa da questa concezione di politica estera, multidirezionale, eliminerebbe la Turchia dall’equazione di attore influente in un nuovo ordine mondiale. La nuova Turchia di Erdogan si considera ancora parte dell’occidente, tuttavia la sua attuale identità non è più esclusiva o binaria. Ankara vuole dialogare liberamente con Washington, con la Nato, con l’Europa, con l’Iran, con le ricche monarchie del Golfo e con altri attori regionali e globali senza sentirsi in dovere di scegliere un partner preferito. Possiamo dire che la Turchia di Erdogan vuole essere un paese multi-allineato che si siede comodamente dove vuole su qualsiasi questione geopolitica. Questo atteggiamento consente ad Ankara di rimanere sotto i riflettori e di proteggersi da quasi tutti gli attori, anche se rimane parte dall’Alleanza Atlantica.

 

La Russia è prezioso partner economico della Turchia. La società statale russa Rosatom sta costruendo una centrale nucleare da 24 miliardi di dollari sulla costa mediterranea turca ed è in trattativa per costruirne una seconda. Nel frattempo, Ankara è in trattativa anche con la Cina per la costruzione di una terza centrale nucleare e cerca di assicurarsi maggiori investimenti cinesi in impianti che producono veicoli elettrici, nonché una partnership per sfruttare un deposito di terre rare in Turchia. Ankara non ha scambi commerciali significativi con tutti i paesi dei Brics, fatta eccezione per  Russia e  Cina. Ma anche l’Iran è per la Turchia tra i principali fornitori di petrolio e di gas naturale ed è un passaggio terrestre di vitale importanza per il traffico su gomma, per il trasporto delle merci dirette nei paesi dell’Asia centrale. Turchia e Iran hanno inoltre anche in programma la creazione di un “bacino commerciale” con la costruzione di centri lungo la linea di confine e si prevede l’apertura di altri due valichi di frontiera.

 

Erdogan, con grande equilibrismo, è impegnato in una attività di bilanciamento delle relazioni con Washington e Mosca. Da un lato fornisce armi all’Ucraina e ne difende l’integrità territoriale e dall’altro consente a Putin di aggirare le sanzioni occidentali. Washington ha da tempo  minacciato la Turchia di colpirla con forti sanzioni se dovesse continuare il suo sostegno a Mosca e a Hamas. Ma le minacce americane difficilmente si concretizzeranno perché non si vuole mettere a repentaglio le relazioni con un partner fondamentale che è interessato ad arginare l’espansionismo russo, iraniano e cinese in medio oriente e nel Mediterraneo. La Turchia ospita testate nucleari statunitensi in una base aerea vicino alla Siria e un radar di risposta rapida che fa parte delle capacità di difesa missilistica balistica della Nato. Inoltre Ankara ospita milioni di rifugiati dal medio oriente e dall’Asia e funge da cuscinetto per eventuali nuovi flussi verso l’Europa. Ci dobbiamo dunque aspettare che i rapporti tra Turchia e il blocco occidentale saranno a lungo caratterizzati da questo difficile equilibrismo. Bruxelles e Washington non possono lasciare andare Ankara e Ankara non può rinunciare a esse.

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