La minaccia di Kim Jong Un al confine d'Europa

Giulia Pompili

Pyongyang manda soldati a combattere per Putin. La prima conseguenza è che Seul rafforza la sua alleanza con la Nato e vuole mandare armi letali direttamente all'Ucraina. La seconda è che l'Ue inizia a riconoscere il regime nordcoreano come un rischio globale

Ieri ha iniziato a circolare online, soprattutto fra i gruppi telegram filorussi, l’immagine di una bandiera della Federazione russa che sventola accanto a quella della Repubblica popolare democratica di Corea, il nome formale della Corea del nord, su una collina di fronte al villaggio di Tsukurine, nel distretto ucraino di Pokrovsk dove i russi stanno intensificando l’offensiva contro l’Ucraina. Gli analisti indipendenti non sono ancora riusciti a verificare l’autenticità della foto, ma il fatto stesso che circoli dimostra che per la propaganda russa anti ucraina e anti occidente l’alleanza sempre più concreta con il regime di Pyongyang è qualcosa da mostrare, anche se ufficialmente sia la Russia sia la Corea del nord negano la presenza di soldati nordcoreani sul campo. Eppure nei circoli diplomatici non si parla d’altro: qualche giorno fa l’Ucraina ha diffuso le immagini di quelli che sembrano soldati nordcoreani che ricevono uniformi e provviste dalle Forze armate russe. Secondo diversi analisti nel video i soldati parlano “in dialetto nordcoreano”, e il video sarebbe stato registrato in un campo di addestramento nell’Estremo oriente russo – secondo l’intelligence di Seul, la Russia starebbe fornendo divise e carte d’identità false nel tentativo di far passare le reclute nordcoreane come cittadini russi delle regioni siberiane. 

 


La situazione sta evolvendo rapidamente, perché un coinvolgimento attivo della Corea del nord nella guerra della Russia – e non solo come fornitore di munizioni e armamenti – cambia anche la percezione dell’accordo fra Vladimir Putin e il dittatore Kim Jong Un, che in cambio di soldati addestrati potrebbe aver richiesto al Cremlino tecnologia di Difesa di alto livello. E’ anche per questo che l’altro ieri c’è stata una telefonata fra il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol e il segretario generale della Nato Mark Rutte, conversazione che avrebbe accelerato l’ingresso di Seul nel sistema di comunicazione militare in tempo reale con i membri dell’Alleanza, primo passo per un’integrazione più significativa della Corea del sud. Non solo: secondo molte fonti, la presenza nordcoreana nelle regioni occupate dalla Russia potrebbe presto far cadere il veto posto dalla Francia lo scorso anno all’apertura di un ufficio della Nato in Giappone. 

 


Ieri Kim Tae-hyo, vicedirettore della Sicurezza nazionale sudcoreana, ha detto ai giornalisti che il governo sudcoreano sta considerando sempre di più l’idea di fornire direttamente all’Ucraina armi offensive, dopo aver sostenuto la difesa di Kyiv in modo indiretto triangolando la vendita di armamenti alla Polonia: “Stiamo elaborando un piano graduale per rispondere ai possibili diversi gradi di coinvolgimento della Corea del nord nella guerra”, ha detto Kim. “Non mi dilungherò oltre sulle carte che abbiamo in mano perché potrebbe influenzare il loro giudizio e i loro calcoli”. L’altro ieri la Sbs sudcoreana, citando alcune fonti governative, ha detto che Seul sta pensando di inviare in Ucraina anche una “squadra di monitoraggio”, probabilmente d’intelligence, per studiare i movimenti nordcoreani e le loro eventuali tattiche di combattimento. Per Pyongyang, che ha sviluppato un arsenale missilistico e nucleare considerevole, la prova dei suoi soldati sul campo è importante tatticamente, ed è anche per questo che in passato ha inviato piccoli battaglioni di soldati nella guerra del Vietnam e, più di recente, al fianco di Assad durante la guerra civile siriana.
Secondo Gabriela Bernal, analista di Nk News, la presenza di soldati nordcoreani sul fronte della guerra contro l’Ucraina potrebbe presto cambiare la percezione che finora ha avuto l’Europa della minaccia nordcoreana. Per molto tempo Pyongyang non è stata considerata una minaccia diretta agli interessi e alla sicurezza europea, e questo vale per diversi paesi ma anche per l’Italia, che per anni ha tenuto le difese molto basse rispetto ai traffici che i nordcoreani – quasi tutti legati all’ambasciata nordcoreana di Viale dell’Esperanto a Roma – conducevano dentro ai confini nazionali (tanto che non sono mai state chiarite le circostanze della fuga dell’ex ambasciatore facente funzioni Jo Song Gil, avvenuta alla fine del 2018, oggi cittadino sudcoreano, e del contestuale rimpatrio in Corea del nord della figlia minorenne residente a Roma). Dopo l’invasione dell’Ucraina però la situazione è cambiata. Una settimana fa l’Italia, insieme con America, Corea del sud e altri otto paesi alleati, ha firmato una dichiarazione per la creazione di un Multilateral sanctions monitoring Team, una piattaforma di monitoraggio delle sanzioni contro la Corea del nord, necessaria dopo che la Russia a marzo ha usato il suo potere di veto per sciogliere il gruppo di esperti e investigatori che ogni anno, in sede Onu, produceva un rapporto sull’elusione delle sanzioni da parte di Pyongyang. La ministra degli Esteri nordcoreana, Choe Son Hui, ha fatto sapere che il nuovo meccanismo internazionale è “illegale e illegittimo” e che i paesi membri “pagheranno un caro prezzo”. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.