Giorgia Meloni (foto LaPresse)

ti telefono o no

Meloni chiama Saied ed Erdogan e ne viene fuori un pasticcio diplomatico

Luca Gambardella

La premier telefona ai due leader ma i comunicati ufficiali su quello che si sono detti sono molto diversi. L'imbarazzo di Roma sulle congratulazioni al presidente tunisino e sui diritti lgbtq

Capita che alcuni “paesi sicuri”, alleati dell’Italia e dell’Europa, siano incidentalmente governati da leader autoritari (“dittatore”, nel caso di Erdogan, citando Mario Draghi)  e che per beneficiare della loro collaborazione, per esempio nella gestione dei flussi migratori, ci sia un pegno da pagare  che spesso rischia di mettere in imbarazzo la diplomazia italiana. Ieri Giorgia Meloni ha fatto due telefonate internazionali, una in Tunisia e l’altra in Turchia.      

La prima telefonata della premier è stata fatta a Kais Saied, all’indomani della cerimonia di giuramento del presidente tunisino, che si è imposto alle elezioni del 6 ottobre scorso con percentuali plebiscitarie, facilitate da una violenta repressione – basti pensare che degli unici due sfidanti al voto uno, Zouhair Maghzaoui, è stato costretto a fuggire e a chiedere asilo politico in Francia, e l’altro, Zouhair Maghzaoui, è finito in carcere. Saied resta il partner privilegiato dell’Italia nella gestione dei flussi migratori, nonché colonna portante del Piano Mattei lanciato dal governo Meloni.

La telefonata, che nei piani di Palazzo Chigi non doveva essere molto più di una sorta di atto dovuto a chi ha fatto sì che il flusso di migranti verso l’Italia precipitasse dell’80 per cento negli ultimi 10 mesi, si è conclusa con un mistero  comunicativo. Le note ufficiali diffuse dalle rispettive presidenze per spiegare di cosa hanno parlato i due leader sono molto diverse. Se quella tunisina spiega che la premier italiana avrebbe chiamato “per congratularsi con lui (Saied, ndr) in occasione della rielezione a presidente della Repubblica”, la nota di Palazzo Chigi parla molto più genericamente di “riaffermare la comune volontà di rafforzare il partenariato tra Roma e Tunisi e quello con l’Unione europea”. Niente congratulazioni, insomma, e a ben vedere, visto il livello di opacità raggiunto in Tunisia a proposito dei diritti umani.

Martedì, il mediatore europeo,  Emily O’Reilly, ha invitato la Commissione Ue a svelare i dettagli di un’indagine sulle violazioni dei diritti umani in Tunisia condotta prima ancora della conclusione del memorandum del 2023 per fermare le partenze dei migranti. L’accusa è che  la Commissione Ue sapesse delle violazioni ma le avrebbe tenute nascoste, decidendo  di sottoscrivere ugualmente un accordo da 150 milioni di euro con Tunisi. Quel denaro, secondo un’inchiesta del Guardian del mese scorso, sarebbe stato speso per pagare forze di sicurezza che erano già state accusate di torturare e stuprare i migranti.  

Vista la gravità delle contestazioni, nessun altro leader europeo – a parte Meloni – ha contattato il leader tunisino dopo il voto, men che meno la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Tuttavia,  Tunisi resta il cuore nevralgico del piano di esternalizzazione delle frontiere dell’Europa. Per il 29 e 30 ottobre è in programma una nuova missione europea nel paese nordafricano per discutere dei passi successivi da compiere nell’implementazione del memorandum. I toni però sono ben più dimessi stavolta rispetto ai viaggi assidui  di Meloni e von der Leyen a Tunisi prima delle elezioni europee. Si dovrebbe trattare della visita di una delegazione più “tecnica”, probabilmente guidata da Gert Jan Koopman, direttore generale per il Vicinato. Nonostante il crollo delle partenze dei migranti dalla Tunisia, “abbiamo osservato anche episodi di assenza di protezione per i richiedenti asilo, attraverso la nostra delegazione abbiamo reso note le nostre preoccupazioni alle autorità”, ha ricordato Koopman qualche giorno fa. 

Ma se Saied non manca di esaltare la sua amicizia con Meloni per autolegittimarsi, al di fuori dell’Europa il presidente tunisino incassa le congratulazioni dei paesi arabi, della Cina, ma non della Russia. L’irrilevanza di Tunisi per Vladimir Putin smentisce quanto aveva dichiarato solo pochi mesi fa il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che aveva rilanciato invece il rischio che il Cremlino potesse occupare nel paese nordafricano gli spazi vuoti lasciati dall’occidente.

Ma il caso ha voluto che pure la seconda telefonata fatta martedì da Meloni, quella al presidente turco Recep Tayyip Erdogan, abbia provocato  imbarazzi. Anche in questo caso, i comunicati ufficiali delle rispettive presidenze sul contenuto delle conversazioni sono ben diversi. In quello turco si riferisce che Erdogan “ha ringraziato la premier italiana  Meloni per il suo approccio a sostegno del concetto di famiglia, che dà priorità ai valori della famiglia contro i sostenitori degli lgbt”. In quello italiano questo dettaglio è stato omesso. Rischiare di apparire come modelli da seguire sui diritti civili da governi autoritari come quello di Erdogan, noto per le persecuzioni ai danni delle comunità lgbtq+, ha spinto Palazzo Chigi a precisare che no, con il presidente turco non si è affrontato altro che questioni di politica estera.     

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.