Il voto americano

Trump e Musk denunciano la temibilissima ingerenza del Labour inglese

Il comitato elettorale di Donald Trump ha depositato un reclamo presso la commissione elettorale americana denunciando una “palese interferenza straniera” del Labour britannico avallata dal principale comitato della vicepresidente Kamala Harris

Paola Peduzzi

Il candidato repubblicano e l'imprenditore sono molto più suscettibili ai consigli della sinistra al governo a Londra che alle valanghe di troll pro russi, pro cinesi, pro trumpiani che ripetono bugie e propaganda illiberali

Il comitato  elettorale di Donald Trump ha depositato un reclamo presso la commissione elettorale americana denunciando una “palese interferenza straniera” del Labour britannico avallata dal principale comitato della vicepresidente Kamala Harris. Il reclamo cita Morgan McSweeney, chief of staff del premier laburista Keir Starmer, e Matthew Doyle, capo delle comunicazioni del premier, esponenti “dell’estrema sinistra” che hanno “dato consigli a Kamala Harris su come conquistare gli elettori delusi”. In più, nella denuncia compare un messaggio su LinkedIn di una funzionaria del Labour, poi cancellato. Sofia Patel ha scritto che un centinaio di volontari è in arrivo negli Stati Uniti per aiutare la campagna del Partito democratico, ha detto che ci sono ancora dieci posti disponibili e ha aggiunto “ci occuperemo dell’alloggio”, che è la frase incriminata perché, secondo la legge americana, i cittadini stranieri possono fare campagna per i candidati alle elezioni ma non possono essere pagati e non possono avere influenza sul processo decisionale: le spese dei volontari diventano donazioni se superano i mille dollari in un ciclo elettorale.  Gary Lawkowski, avvocato della campagna di Trump, che ha redatto il reclamo aggiunge che il Labour e Harris hanno anche dimenticato il messaggio della Guerra d’indipendenza americana:  “Quando in passato i rappresentanti del governo britannico sono andati porta a porta in America, non è finita bene per loro”.

Il Labour ha risposto che si tratta di volontari che vanno a fare campagna a loro spese, come è successo molte altre volte in passato, e ha specificato che le spese di McSweeney sono state sostenute dal partito e quelle di Doyle da un centro studi, il Progressive Policy Institute. Se la legge americana dovesse essere stata violata, è prevista una multa: è già accaduto con il Labour australiano, che nel 2016 inviò dei delegati a sostegno di Bernie Sanders a proprie spese e dovette poi pagare una multa di 14.500 dollari. La vicepremier Angela Rayner ieri al Question Time ai Comuni ha ripetuto quel che aveva detto Starmer qualche ora prima (è in viaggio verso Samoa): i volontari impiegano soldi e tempo loro. Ma per i trumpiani l’interferenza politica è più profonda.

Elon Musk ha dichiarato sul suo X “this is war” citando dei documenti di un centro studi fondato da McSweeney, il Centre for Countering Digital Hate: in questi pdf che risalgono all’inizio del 2024, fatti trapelare dalla newsletter Disinformation Chronicle, tra le priorità c’è “kill Musk’s Twitter”, che significa contenere disinformazione e discorsi d’odio sulla piattaforma che ne dissemina più di molte altre, ma che per il suo proprietario è una dichiarazione di guerra. Musk è molto più suscettibile nei confronti di un appunto sotto gli “obiettivi annuali” di un centro di ricerca britannico contro i discorsi d’odio che alle valanghe di troll pro russi, pro cinesi, pro trumpiani che ripetono bugie e propaganda illiberali – che anzi Musk rilancia. Per Trump vale la stessa cosa, e non è un caso che la sua alleanza con Musk stia distorcendo ancora un po’, con i suoi tanti soldi, una campagna elettorale fondata sulle menzogne e sulla pianificazione di un nuovo, più accurato e più esplicito, tentativo di sovvertire l’esito del voto alle presidenziali nel caso non dovesse essere la vittoria di Trump. E’ dal 2016 che vengono documentate le ingerenze straniere – in particolare russe – nelle elezioni americane: non è stata dimostrata la collusione di Trump con le entità straniere coinvolte, ma la loro esistenza e influenza sì. Poiché però sono opache e non tracciabili, non ci sarà un documento di rimborso spese cui eventualmente appigliarsi per multare un centinaio di volontari laburisti britannici e i consigli di strateghi che, per vincere, non hanno usato ad mirate e menzognere, ma calcoli precisi su quali elettori mobilitare per ottenere margini di vittoria più grandi. Poi certo si sa che, se Trump dovesse ridiventare presidente degli Stati Uniti, la vendetta su Keir Starmer sarà più problematica di qualche centinaio di dollari di multa.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi