Attal fa tre conti alla rovescia e Macron cerca di farlo tornare nell'ombra

Mauro Zanon

L'ex primo ministro francese era per tutti il delfino inatteso del presidente, ora è un leader ferito in cerca di riscatto. Il suo obiettivo è "de-macronizzare" Ensemble pour la République: in testa ha la nuova eventuale “dissolution”, le elezioni municipali del 2026 e la conquista dell’Eliseo

Parigi. A gennaio, quando a 34 anni divenne primo ministro di Francia, il più giovane della Quinta Repubblica, era per tutti l’enfant prodige, l’erede, il delfino inatteso del macronismo. “Non ero nulla prima di Emmanuel Macron, gli devo tutto”, diceva riconoscente al Parisien. Dieci mesi dopo, Gabriel Attal non è più il “baby Macron”, il ragazzo che pende dalle labbra del presidente, l’allievo religiosamente devoto al maestro: è un leader ferito in cerca di riscatto, e, per molti osservatori, assetato di vendetta. Il Figaro ha raccontato la guerra latente, ma spietata, tra il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e colui che è stato il suo primo ministro fino a quest’estate, Gabriel Attal, una guerra che per ora si combatte dietro le quinte della République, a colpi di articoli velenosi e fughe di notizie che mettono l’uno o l’altro in cattiva luce. L’ultimo episodio risale a domenica scorsa, quando l’Opinion ha rivelato che la talpa che ha spifferato ai giornalisti del Parisien la frase di Macron su Israele pronunciata durante una riunione del consiglio dei ministri – “Netanyahu non deve dimenticare che il suo paese è stato creato da una decisione dell’Onu” – sarebbe la ministra dell’Istruzione, Anne Genetet, fedelissima di Attal. Per l’entourage di Macron, Genetet è uno dei tanti “proxy” dell’ex primo ministro, ossia di quegli intermediari incaricati discretamente da Attal  per  danneggiare il presidente. All’Eliseo, la febbre anti Attal sta iniziando a colpire un po’ tutti i macronisti storici, terrorizzati dall’idea che l’ex capo del governo, e attuale capogruppo dei deputati di Ensemble pour la République (Epr, ex Renaissance), possa diventare il prossimo novembre il nuovo leader del partito presidenziale.

 

A inizio ottobre, l’ex presidente dell’Assemblea nazionale, Richard Ferrand, pretoriano del capo dello stato, aveva già manifestato il suo sdegno per la lettera aperta a sostegno di Attal firmata da alcuni membri di Epr, dove il nome di Macron non veniva mai menzionato. Gaby, come lo chiamano affettuosamente i suoi consiglieri, si sente oggi più libero che mai e si infastidisce quando dicono che Ensemble pour la République è un “partito macronista”: il suo obiettivo è “de-macronizzare” il movimento che ha contribuito a lanciare nel 2016 quando si chiamava ancora En Marche. Del resto, già quest’estate, dopo la “dissolution” dell’Assemblea nazionale di cui non era stato nemmeno avvertito, Attal, in una chiacchierata con il Monde, diceva chiaramente di voler riprendere in mano il suo destino, lontano da un presidente che giudicava irrimediabilmente indebolito, di essere pronto a “reinventare tutto, ricostruire tutto”. Lo scioglimento dell’Assemblea nazionale è stato il punto di non ritorno, ma le relazioni tra Macron e Attal hanno iniziato a incrinarsi già quando il secondo aveva varcato la soglia di Matignon. All’Eliseo, scoprono ben presto che l’allora 34enne ama stare sotto i riflettori, sconfina nei territori riservati al presidente della Repubblica e non accetta il ruolo di semplice fusibile, scudo e collaboratore del capo dello stato. Ancora oggi, un consigliere di Macron ricorda la propensione di Attal “a comportarsi come se il calendario politico fosse iniziato con la sua nomina a Matignon”. A ciò si aggiunge l’irritazione del presidente per la sua riluttanza a farsi coinvolgere nella campagna elettorale per le europee, che ha ridotto le possibilità di “remontada” nei sondaggi.

 

Ai suoi interlocutori, a quelli che sondano quanto sia grande la sua ambizione, Attal dice che non rinnega nulla degli ultimi sette anni, che sa bene di essere arrivato a Matignon grazie al presidente, ma aggiunge: “Ora mi sento comunque più libero”. Quanto libero? La “popolarità insolente”, così la definisce il Figaro, di cui gode tra gli elettori, e più in generale tra francesi, sta convincendo Attal ad accumulare due ruoli: capogruppo dei deputati Epr e presidente del partito in caso di vittoria al congresso del 23 e del 24 novembre. Un modo per regnare sul movimento e accelerare la sua de-macronizzazione. “Se fosse in una dinamica di rupture, creerebbe un nuovo partito, non si iscriverebbe nell’eredità del presidente”, tempera l’entourage di Attal. Sarà. Ma intanto i luogotenenti di Macron fanno campagna per la sua rivale, Élisabeth Borne, che è stata a Matignon prima di Attal e ieri ha pubblicato un libro per difendere il suo bilancio da primo ministro, “Vingt mois à Matignon”. “Élisabeth vuole davvero rimettere al lavoro il partito, mentre Gabriel vuole semplicemente utilizzarlo per il suo destino personale”, ha detto un sostenitore di Borne al Point. Per convincere i quadri e gli eletti di Ensemble pour la République a votare per lei, Borne promette che il partito resterà macronista, mentre con Attal, il macronismo verrebbe definitivamente archiviato. Il capogruppo dei deputati Epr è attualmente il gran favorito per sostituire al vertice di Epr Stéphane Séjourné, commissario europeo per l’Industria, forte dei due terzi dei presidenti dipartimentali del partito presidenziale che hanno preso posizione in suo favore a inizio ottobre. In privato, Attal dice che in testa, ogni mattina, ha “tre conti alla rovescia”: la nuova eventuale “dissolution”, le elezioni municipali del 2026 e la conquista dell’Eliseo.

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