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Medio oriente

Il nuovo ordine che voleva Sinwar è svanito

Fiammetta Martegani

Ora i paesi arabi si allineano e Hezbollah perde peso a Beirut. Così Riad approfitta delle ambizioni ridimensionate dell'Iran. Intervista ad Avi Melamed, responsabile di Affari mediorientali all’Eisenhower Institute

Tel Aviv. Il 7 ottobre del 2023, Yayha Sinwar ha lanciato – da solo – una guerra contro Israele, spinto dalla convinzione di poter rimodellare in modo permanente gli equilibri politici del medio oriente, ci dice Avi Melamed, responsabile di Affari mediorientali all’Eisenhower Institute: la visione di breve periodo supponeva una disfatta imminente di Israele, con Hamas che si sarebbe imposto come leader dei palestinesi e anche come guida spirituale dell’islam estremista. In questo nuovo ordine, il regime iraniano e l’“asse della resistenza” sarebbero diventati la forza dominante nella regione

 

                      


Melamed, che è anche ex funzionario degli Affari arabi ed ex membro dell’intelligence oltre che fondatore di Feenjan-Israel Speaks Arabic, un portale in lingua araba per la promozione del dialogo con il mondo arabo, spiega che “fino all’uccisione dei due capi, le tre armi chiave del regime iraniano, cioè Hezbollah, Hamas il Jihad islamico, hanno svolto un ruolo fondamentale nella strategia di raggiungere due obiettivi principali: bloccare il proseguimento del processo di pace portato avanti dagli accordi di Abramo e far deragliare l’emergente alleanza regionale sunnita, che avrebbe contrastato in modo definitivo l’egemonia iraniana sulla regione”. Per questo, Teheran si serviva di Hezbollah “per tre ragioni principali: assicurarsi una base di potere sulla costa mediterranea, dissuadere l’occidente dal lanciare attacchi contro i programmi nucleari iraniani, convincere Israele a firmare un accordo incondizionato con Hamas”. 


Ieri in Israele si celebrava Simchat Torah, la festività durante la quale esattamente un anno fa – secondo il calendario ebraico – il paese veniva attaccato dai missili e via terra da Hamas e, il giorno successivo, da attacchi missilistici, ancora oggi su base giornaliera, da Hezbollah. Settimana dopo settimana si sono aggregati a questa guerra tutti gli altri alleati di Teheran, che includono anche gli houthi dello Yemen, la Siria e l’Iraq e che ora si ritrovano molto indeboliti. L’eliminazione dei capi dei due gruppi terroristici in Libano e a Gaza – Hassan Nasrallah e Yahya Sinwar – apre nuovi scenari in cui, grazie soprattutto al ruolo centrale dei paesi sunniti del Golfo, si potrebbe stabilire una nuova stagione per tutta la regione, come dimostra anche l’ultima visita del segretario di stato americano, Antony Blinken, a Riad. Pur pagando un prezzo alto – specie riguardo la ferita ancora aperta delle famiglie dei rapiti, che ancora aspettano il ritorno di 101 ostaggi – Israele non ha mai ceduto alle pressioni di Teheran e oggi, a un anno di distanza da quel sabato nero, è riuscito ad annientare non solo i due leader, ma anche il potere di negoziazione dei due principali alleati dell’asse iraniano, (ri)aprendo, di fatto, il vero tavolo dei negoziati. Secondo Melamed sono stati molteplici i risultati ottenuti in questa nuova fase del conflitto: prima di tutto Israele sembra aver ridefinito il suo ruolo egemonico nel medio oriente, mostrando l’efficienza delle proprie capacità militari, tecnologiche e di intelligence, che – proprio perché messe duramente alla prova nelle loro falle – hanno dimostrato di saper reagire e reggere un conflitto prolungato, su più fronti. Sul piano logistico, la distruzione delle infrastrutture militari di Hezbollah ha messo all’angolo Teheran che ora teme di perdere il suo arsenale militare più importante mentre la distruzione infrastrutturale di Hamas ha determinato la perdita della loro governance a Gaza, riaprendo uno spiraglio per i negoziati. Inoltre, sebbene Hamas non sia ancora stato eliminato del tutto, la sua ambizione di diventare il leader indiscusso dei palestinesi è ormai compromessa. Altro risultato cruciale – aggiunge l’analista – sta nell’indebolimento del controllo su Beirut da parte di Hezbollah che, avendo ignorato le istanze del popolo libanese, ha trascinato la nazione in una guerra che ha portato a una devastazione diffusa. 


Le operazioni militari dell’Idf sempre più intense hanno gravemente indebolito la presa di Hezbollah sul sistema politico libanese, alimentando un movimento interno in crescita che chiede il disarmo del gruppo terrorista, passo necessario per ripristinare la sovranità del paese, da troppo tempo con le mani legate dall’Iran. Secondo Melamed tutti questi risultati assieme avrebbero creato un’onda d’urto – che presto potrebbe colpire anche Siria e Iraq – volta a indebolire in modo radicale le ambizioni regionali di Teheran. Allo stesso tempo, l’effetto più importante di questo sconvolgimento mediorientale sembrerebbe il riallineamento dei paesi arabi sunniti alleati di Israele – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Egitto, Giordania e Marocco – e quindi, sul medio periodo, la possibilità di accelerare un’alleanza che miri a promuovere la stabilità e la crescita economica dell’intera regione.