dalla nostra inviata

L'attesa tetra del voto in Georgia, dove Sogno georgiano si è accaparrato i colori dell'Ue

Micol Flammini

A Tbilisi le bandiere europee sono ovunque, il partito del miliardario Bidzina Ivanishvili è pieno di contraddizioni e si è accaparrato il simbolo più conteso, è lì che insiste. Il conto alla rovescia senza piani B che non siano pericolosi, mentre i manifestanti dicono: "Siamo pronti a tutto"

Tbilisi, dalla nostra inviata. Con le elezioni, in Georgia, c’è poco da scherzare. Sono scomparse le facce determinate e sorridenti dei ragazzi appostati davanti al Parlamento: quei volti si sono fatti scuri, sembrano invecchiati, hanno la stessa risolutezza ma a pochi giorni dal voto nessuno ride, nessuno ha voglia di caroselli, canzoncine, ogni gesto è pesante, si sussurra, non si grida. Per molti manifestanti e attivisti questi sono i giorni più seri di una battaglia iniziata da almeno due anni contro il partito che governa il paese, Sogno georgiano. Il voto di sabato viene definito esistenziale, o si svolta verso l’occidente o si lascia a Mosca una strada aperta  per avere il controllo di cosa accade in Georgia: non sono elezioni, per molti sarà un referendum su cui pesa il terrore di brogli preventivi o colpi di mano violenti dopo il risultato. Le bandiere europee sono ovunque e si rischia di confondersi di fronte a tanto blu, si rischia di scambiare uno dei tanti manifesti che compaiono per le strade, sulle fermate dei mezzi pubblici, sugli autobus, per i cartelli rappresentativi della piazza che per mesi si è vestita dei colori dell’Unione europea, ha usato la bandiera come armatura e come scudo. Invece no, il blu che inonda le strade di Tbilisi è parte della campagna elettorale di Sogno georgiano che per le elezioni ha fuso il suo simbolo con le stelle europee. Il partito del miliardario Bidzina Ivanishvili è stato il primo a presentare i suoi simboli elettorali, si è potuto permettere una campagna dispendiosa coinvolgendo una delle migliori agenzie pubblicitarie del paese (travolta dagli scioperi quando i dipendenti hanno scoperto chi fosse il cliente) e si è accaparrato quello che qui è il simbolo più conteso: la bandiera europea. Sogno georgiano non parla ai manifestanti, parla a quei cittadini che faticano a cambiare, che vorrebbero diventare un giorno cittadini dell’Unione, ma nel mare dispersivo dell’opposizione non sanno chi scegliere, quindi insistono con i volti noti, usati, anche se non rassicuranti. C’è una parte fragile della popolazione, è vasta, ed è lì che insiste Sogno georgiano, che ha rubato ai partiti dell’opposizione il vessillo europeo. 

 

 

Il blu si porta molto in Georgia, si abbina con  tutto, dire di essere contro l’ingresso nell’Unione europea non è popolare e il partito di Ivanishvili ha avuto l’accortezza di non presentarsi come la formazione che può allontanare Tbilisi da Bruxelles, si è invece posto come la sicurezza di un ingresso nell’Ue “solo con la pace, la dignità e la prosperità”. A Tbilisi, Sogno georgiano viene chiamato comunemente Sogno russo perché, più che all’Europa, guarda a Mosca e la sua vittoria eventuale è letta come un regalo al Cremlino. Sogno georgiano però non parla di Russia, parla soltanto e ossessivamente di Europa e se gli enormi cartelli blu non erano abbastanza espliciti, il partito ha deciso di aumentare ed estendere la sua campagna affiggendo ai bordi delle strade dei manifesti che contrappongono le macerie ucraine da una parte e i radiosi quartieri georgiani dall’altra, il messaggio è elementare: il partito di Ivanishvili si presenta come l’ultimo argine prima che alla Georgia tocchi la sorte dell’Ucraina. C’è il testo e poi c’è il sottotesto che  va indagato a fondo e ritrovato fra tutte le dichiarazioni degli uomini di Sogno georgiano che non sono state di  condanna  al Cremlino per l’invasione dell’Ucraina, bensì accuse contro “il partito della guerra”, rappresentato dall’occidente, con gli Stati Uniti in testa e l’Ue in coda.

 

 

E’ pieno di contraddizioni questo partito che si presenta come garanzia dell’ingresso in Europa e dà all’Europa della guerrafondaia. E’ buia questa campagna elettorale in cui soltanto un gruppo di partiti, presentatosi sotto il nome di Coalizione per il cambiamento, ha tentato di irrompere con pubblicità ironiche, qualche risata, un po’ di musica. Il resto è paura, è serietà, è attesa snervante fino alle 8 di sabato sera, quando in Georgia si chiuderanno i seggi, gli abitanti di Tbilisi si metteranno ad attendere lo spoglio davanti al Parlamento il cui ingresso è  sbarrato ormai da mesi. Il ministro dell’Interno ha fatto sapere che la polizia è stata dotata di nuovi idranti e più armi, alcuni oppositori hanno detto di essere stati aggrediti sotto casa, gli attivisti fanno fatica a comunicare. Non c’è più ansia di dire, ora c’è la paura dichiarata di chi non fa che ripetere: “Siamo pronti a tutto”. 
E’ un conto alla rovescia senza piani B che non siano pericolosi. Tra i manifestanti, in pochi pensano che in caso di sconfitta Sogno georgiano accetterà il risultato, ma in caso di vittoria, l’imbroglio del blu avrà fatto la differenza. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)