Masih Alinejad (Foto LaPresse)

Attentati continui

Non solo Alinejad, braccata in America dai pasdaran. Tutti gli altri tumulati vivi

Giulio Meotti

E' emerso un altro piano iraniano per uccidere negli Stati Uniti la giornalista e attivista per i diritti umani iraniano-americana, ma anche in Europa ci sono persone che rischiano ogni giorno la loro vita

“Ho spesso pensato a Salman Rushdie quando è iniziato il mio viaggio dentro e fuori le ‘case sicure’. Mi sono spesso chiesta come Rushdie abbia affrontato le difficoltà fisiche e mentali della prigionia forzata. Essere in una casa sicura è come essere di nuovo in quarantena, tranne per il fatto che non sembra esserci alcun vaccino contro il fanatismo del regime iraniano”. Così scrive la giornalista e attivista per i diritti umani iraniano-americana Masih Alinejad, dopo che è emerso un altro piano iraniano per ucciderla negli Stati Uniti.

I procuratori federali americani hanno accusato Ruhollah Bazghandi, un ufficiale militare del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche dell’Iran e altri tre, di aver complottato per assassinare Alinejad. Avevano precedentemente incriminato altri sospettati nel caso, tra cui un uomo nel 2022 e altri due nel 2023. Uno dei sospettati era stato arrestato con un fucile fuori dalla casa di Alinejad  a Brooklyn. “L’atto di accusa di oggi rivela l’intera portata del complotto dell’Iran per mettere a tacere una giornalista americana per aver criticato il regime iraniano”, ha affermato il direttore dell’Fbi, Christopher Wray. I pasdaran hanno tentato di assassinare Alinejad sul suolo americano e complottato per rapirla nel 2020 e nel 2021. “Sono l’unica donna in America in questo momento con otto persone, tra cui alti membri dell’esercito di un governo straniero proveniente dall’Iran, accusate di aver complottato per uccidermi per aver combattuto per la libertà” ha scritto Alinejad.

Alinejad  ha ricevuto la notizia di essere stata respinta dal consiglio di una cooperativa di Manhattan, dove l’iraniana cercava una casa. “La cooperativa ha respinto me e mio marito. Perché? Perché, quando ci cercano su Google, si rendono conto che non vogliono condividere il loro edificio con qualcuno seguito da persone con AK-47”, ha detto la dissidente 48enne.

E questa settimana Alinejad ha rivelato di aver già cambiato ventuno “case sicure” in soli tre anni. “A volte, durante la notte, mi sveglio e non so dove mi trovo. E’ come se mi svegliassi e non sapessi, questa è casa mia? Questo è un hotel? È un rifugio?”. Le chiamano “case sicure”, ma sono le tombe della nostra tolleranza fallita. Quando giornalisti, vignettisti, politici e insegnanti, persone che non hanno fatto nulla di male, devono vivere come pentiti di mafia, significa che libertà e democrazia sono un’illusione.


Tanti casi in Europa

In Inghilterra un insegnante è stato costretto a lasciare la propria scuola oggetto di pesanti minacce di morte, dreo di aver mostrato in classe le vignette su Maometto durante una lezione sulla libertà di espressione, oggi vive in una “casa sicura” con sua moglie e i figli a causa del timore di essere uccisi. La minaccia è giudicata così grave che nemmeno i loro parenti sanno dove vivono. “Questa è la ‘casa sicura’ numero cinque”, raccontava Kurt Westergaard, il vignettista danese che ha dipinto per primo Maometto. L’imam Hassen Chalghoumi, su cui pende una fatwa,  ha  rivelato di “non dormire mai più di tre notti nello stesso posto”.  Vive in una “casa sicura” anche Lars Hedergaard, che ha la colpa di essere il fondatore della Danish Free Press Society. Come la direttrice delle risorse umane di Charlie Hebdo, Marika Bret, costretta a fuggire di casa a seguito di gravi minacce di morte lanciate contro di lei dagli estremisti islamici.

In Germania c’è il sociologo di origine egiziana Hamed Abdel Samad: sorveglianza a 360 gradi 24 ore su 24. Samad ha raccontato: “Un giorno un agente della polizia di Berlino è venuto da me e mi ha dato un giubbotto antiproiettile dicendomi che d'ora in poi avrei dovuto indossarlo durante le mie lezioni”. Ma il caso Rushdie sembra averci insegnato davvero molto poco. Dov’è la solidarietà femminista per Alinejad, come lei stessa ha chiesto sul Washington Post? Dove quella culturale per gli altri tumulati vivi?

Lo ha spiegato la dissidente iraniana: “Alcuni di sinistra e liberal, ti rappresentano solo quando sei una vittima. Quando sei una guerriera, non ti invitano. Io sono rumorosa. Dico no all’hijab forzato, dico no all’islamismo. Non gli interessa”. Molto più interessante perorare corsi di nuoto per sole donne musulmane a Figline e chiedere le dimissioni dell’assessore alla Cultura di Livorno, reo di aver detto che le donne non hanno un pene. L’ayatollah invece lui sì che è magnanimo.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.