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editoriali

Il #metoo della sinistra spagnola

Il leader progressista e femminista Íñigo Errejón, tra i fondatori di Podemos, è travolto dalle accuse di molestie. E nella lettera di addio dice che è colpa del neoliberismo

Non è solo il “me too” spagnolo, è un terremoto politico per la sinistra spagnola. Tutto parte quando Íñigo Errejón, braccio destro della vicepremier spagnola Yolanda Díaz e portavoce  di Sumar, abbandona  la politica con un annuncio sui social: parla di “struttura affettiva”,  “soggettività tossica”, dice di essere arrivato “al limite della contraddizione tra il personaggio e la persona”. Più prosaicamente, è travolto dalle accuse  che montano sui social di “violenza machista”,  maltrattamenti psicologici sulle donne e  molestie sessuali. Errejón ammette davanti al  partito il suo “comportamento non esemplare”, che è  politicamente letale per un dirigente che si  professava “femminista”, che fustigava pubblicamente la destra “machista” e patriarcale. Dopo le accuse anonime sono arrivate le denunce di attrici e volti noti, che si ritengono vittime delle molestie del portavoce di Sumar.

Errejón non è un politico qualsiasi: è stato tra i fondatori di Podemos, il partito degli indignados ora in declino che ha modellato il linguaggio  a sinistra. E’ un ideologo, una pietra angolare del nuovo progressismo spagnolo, costretto ad abbandonare il campo per farisaismo. Scaricato immediatamente dal premier Pedro Sánchez e anche dal suo partito, Sumar, che a sua volta è accusato di averlo coperto. Pare la fine di un’epoca.

I professori post-marxisti fondatori Podemos sono ai margini della politica: l’ex vicepremier Pablo Iglesias fa il giornalista militante, Juan Carlos Monedero fa l’influencer del dittatore del Venezuela Nicolás Maduro e, infine, Errejón dovrà verosimilmente affrontare un processo che, secondo la restrittiva legge “solo sí es sí” voluta dal suo partito può costargli fino a cinque anni di carcere. Nella lettera di addio, Errejón scrive che non è sostenibile la contraddizione tra l’essere portavoce di un partito progressista e “una forma di vita neoliberale”. Pure le sue molestie sono colpa del neoliberismo. Per Marx la storia si manifestava prima come tragedia e poi come farsa. Nel caso dei post-marxisti tragedia e farsa arrivano in simultanea.

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