il colloquio
Che cosa ha ottenuto Israele dallo strike all'Iran. Parla il generale Amidror
L’aeronautica militare di Tel Aviv ha colpito obiettivi che venivano utilizzati per produrre combustibile solido per missili balistici a lungo raggio. Le parole del generale: "Gli iraniani hanno capito che possiamo colpire ovunque e chiunque a Teheran"
Due settimane fa, il presidente americano Joe Biden e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu hanno concordato i termini dell’attacco all’Iran in una telefonata di mezz’ora, la prima in due mesi. Rassicurato che Israele stava ascoltando il consiglio degli Stati Uniti di dirigere i suoi attacchi verso obiettivi militari, Biden accettò di rafforzare le difese di Israele inviando il sistema antimissile Thaad e cento soldati americani per gestirlo. Poco prima delle due di notte di sabato, un centinaio di piloti israeliani sono saliti a bordi dei loro aerei, eseguendo gli ordini da un bunker sotterraneo noto come “la fossa”.
L’assalto di Israele all’Iran, coordinato con Washington e limitato a siti di difesa missilistica e aerea, è stato più moderato di quanto molti si aspettassero. Israele ha atteso fino al ritorno a Washington del segretario di stato Antony Blinken dopo quattro giorni di consultazioni con alleati israeliani e arabi. Di notte e volando su territori ostili tra cui Siria e Iraq, cento aerei da guerra israeliani hanno volato per migliaia di chilometri. Israele ha evitato di colpire siti di infrastrutture petrolifere, nucleari e civili, in linea con la richiesta dell’Amministrazione Biden.
Ore prima dell’inizio dell'attacco, Israele ha avvisato gli Stati Uniti e diverse capitali del mondo arabo ed europeo sulla natura e la portata dell’attacco. I funzionari di alcuni di quei paesi avrebbero quindi avvisato l’Iran, rivela il Wall Street Journal.
La prima ondata di jet da combattimento ha distrutto le batterie aeree in Siria e Iraq, liberando la rotta di volo per la seconda e la terza ondata che si è incanalate verso l’Iran. L’aeronautica militare israeliana ha così colpito una dozzina di obiettivi in Iran che venivano utilizzati per produrre combustibile solido per missili balistici a lungo raggio, demolendo la capacità di Teheran di rifornire il suo inventario. Gli obiettivi erano una componente fondamentale del programma missilistico balistico dell’Iran, ha affermato il sito israeliano Walla citando tre fonti di sicurezza. Le valutazioni basate su immagini satellitari sono state confermate anche da David Albright, un ex ispettore delle armi delle Nazioni Unite, per la Reuters. Israele ha colpito edifici a Parchin, un enorme complesso militare vicino a Teheran a cui gli ispettori dell’Onu chiedevano libero accesso (negato dal regime). E Khojir, un sito di produzione di missili vicino a Teheran.
Un funzionario israeliano ha affermato che l’Iran aveva quattro batterie di batterie antimissile S-300, le più avanzate nell’arsenale di difesa aerea di Teheran e che sono state tutte distrutte. Poi è stata colpita una fabbrica per la produzione di droni.
“La palla è ora nel campo iraniano”, ha detto Amos Yadlin, un ex direttore dell'intelligence militare israeliana, su Channel 12, anche prima che l’attacco finisse. L’obiettivo, ha detto, era “chiarire cosa Israele è in grado di fare”. Un funzionario israeliano al Wall Street Journal ha detto che “il messaggio è che non vogliamo un’escalation, ma se l’Iran decide di attaccare di nuovo Israele, ciò significa che abbiamo aumentato il nostro raggio di libertà di movimento nei cieli iraniani”. Dopo quattro ore, gli aerei israeliani sono tornati a casa.
“Fanatici nella visione”
“Israele voleva un attacco per raggiungere almeno tre obiettivi: che gli iraniani capissero che potevamo colpire ovunque e chiunque in Iran e che loro non potevano difendersi; danneggiare la loro abilità di difendersi e di costruire missili a lunga gittata; infine, non far precipitare la situazione e lo strike è stato preciso, così ci siamo coordinati con gli Stati Uniti anche in chiave pre elettorale a due settimane dal voto”, dice al Foglio Yaakov Amidror, generale dell’esercito israeliano e già capo del Consiglio per la sicurezza nazionale del primo ministro.
“Il confronto tra Israele e Iran è posticipato e non finisce qui. Sono fanatici nella visione, la distruzione di Israele, e pragmatici per come la gestiscono. Speravano di costruire un anello di fuoco fra Hamas e Hezbollah. E così anche la Siria, lo Yemen e l’Iraq avrebbero visto le milizie sciite potenziate per attaccare anche loro e tutti assieme questi terroristi avrebbero fatto collassare Israele. Ma non è successo. Perché il capo di Hamas Yahya Sinwar ha fatto un errore, non ha aspettato e ha attaccato il 7 ottobre. Hamas ha perso l’elemento sorpresa in Libano e gli iraniani non sono intervenuti. Quindi la strategia del domino non è scattata. Israele ora non consentirà a Teheran di ricostruire tutte le capacità iraniane da nord a sud”.
Ora è Teheran che deve decidere cosa fare. Conclude Amidror: “Non sarei sorpreso se decidessero di accelerare il programma atomico come alternativa. Non rinunceranno mai alla distruzione di Israele, è la ragion d’essere della Repubblica islamica”.