Lui a destra, lei a sinistra
Maschi contro femmine. Le elezioni americane e la guerra dei sessi in politica
L'elettorato statunitense spaccato in tribù di genere. C'entrano (anche) gli anni del #metoo
Se gli uomini siedono a destra, si sa che le donne virano a manca. Sospinte da un venticello che, dagli USA all’Europa, divide maschi e femmine tanto in casa quanto in piazza e in politica. All’incirca, lo sapete, com’è adesso in casa Trump. Con Melania pro aborto e The Donald – capo delle destre globali – che invece tentenna.
Ed ecco. Sono gli uomini di destra e le donne di sinistra, quelli di cui parliamo. Le donne (comuni e non) che siedono alla sinistra del padre o del marito come Melania, quindi, ammiccante ai dem. Il sinuosissimo punto interrogativo della campagna elettorale statunitense che, dopo settimane e mesi pressoché muta, estrae dal cilindro un libro. Centottanta pagine dalle quali un punto – il diritto all’aborto – fa capolino.
Il diritto “fondamentale di una donna”, scrive l’ex modella, “che è il diritto alla libertà individuale e alla propria vita”. L’aborto, garantito a tutte e in tutti gli stati, che inscrive oggi Melania nella lunga linea della Guerra dei Roses. In altre parole: nell’ostilità maschio-femmina, sovente marito e moglie, che battagliano per il potere e si specchiano – ci arriviamo – nel cosiddetto paese reale.
Epperò adesso, stando ancora sul fatto, accade che se The Donald è funambolo sull’interruzione di gravidanza, consapevole di scontentare con l’anti-abortismo non poche donne (persino repubblicane) e non pochi uomini (intransigenti), Melania dalla fune lo tira giù. E voi direte che no. Non è possibile. Direte che dietro l’operazione c’è sicuro un ben più astuto occhiolino del team Trump alle donne non tanto di sinistra ma donne e basta. Alle donne-in-quanto-donne, come usa dire, che per ovvie ragioni son più sensibili al tema oltre le steccaie politiche. Certo, perché no? Dietro il libro potrebbe esserci dell’astuzia (e di certo c’è). Eppure il tema qui è un altro. Ed è per l’appunto quel venticello che da decenni – ben prima di donna Trump – gli uni pone di qua, le altre di là. Dal palazzo al paese reale. Gli uni a destra e le altre a sinistra un po’ come sulla terrazza romana di Ettore Scola dove la Sandrelli – ve la ricordate – diceva a Gassman di essere, lei, “molto ma molto più a sinistra” di lui, e dove lui, pur onorevole, pur comunista (ma sempre meno a sinistra di lei), le rendeva la pariglia: “E a che ora è la rivoluzione? Come bisogna venire: già mangiati?”.
Ed ecco. Il tema è per l’appunto quella brezza – il famoso spirito del tempo – che soffia oggi a Washington e che già soffiava nella vecchia Europa e nell’Italia della terrazza romana. Nel bel paese da romanzo o persino da rotocalco dove, decenni dopo Ettore Scola, la storia della quinta colonna femminile – della donna più a sinistra dell’uomo a destra – assunse tutta una sua poesia. Per intenderci: il tema, qui, è quel vento che già spirava nell’Italia del Cav.; nell’Italia erosa dai confini del tempo che rinverdisce, ora, con Francesca Pascale onnipresente in tivù. Con l’altra donna, l’ex fidanzata di Silvio che, come in un’oleografia di Vezzoli, è la nostra Giovanna d’Arco in chiave kitsch e gay pride. E rinverdisce, ancora, con la figlia del Cav. ovvero Marina: ennesimo capitolo di donna a sinistra e cuore dell’uomo che batte a destra. All’incirca lo stesso schema, pensateci, di Carlà coniugata Sarkozy: della Bruni ex modella che prima dell’Eliseo si dichiarava “bobo” (borghese e bohèmien) nonché “epidermicamente di sinistra”; per non dire, infine, della sequela britannica delle Diana Spencer, delle Meghan Markle e di tutte quante distolsero principi e re dal conservatorismo. E persino indussero, come nel caso più complicato di Wallis Simpson e Edoardo VIII, all’abdicazione.
Ed è quindi storia dello spirito del tempo, questa. Storia che viene dall’ultimo mezzo secolo. E che però oggi – e qui veniamo al punto del nostro articolo – trova un suo correlativo oggettivo nei dati. Un riscontro tangibile, oltre il palazzo, persino in società. Persino nel corpaccione elettorale, pensate. Ovvero nel nostro mondo – reale e occidentale – di uomini e donne che sempre più separati vanno a votare. Lui di qua, lei di là.
Ebbene, a proposito di corpo elettorale, stando sempre in USA, il Survey Center of American Life squarciava il velo sul paese profondo. Già mesi fa, ben prima che la neo candidata Harris si prendesse la scena, Daniel Cox, direttore del centro di ricerca, pubblicava uno studio sulla sua newsletter. Titolo? Divorced Men for Trump. L’analisi, ripresa poi dal New York Times e corredata di curve e assi cartesiani, dava così l’effettivo numerico di un conflitto che nel 2024 vira dalla camera da letto alla cabina elettorale.
Cox chiariva una primissima differenza, piuttosto intuitiva, per la quale a votare Trump sono oggi generalmente i maschi (47% del totale) più delle femmine (40%). Forbice che s’assottiglia, scrive, nel caso degli elettori sposati (i quali – mogli e buoi – convergono verso l’idem sentire) e si fa invece più ampia allorché si calca il terreno friabile dei divorziati, che con 14 punti di differenza si divaricano nel voto repubblicano. L’analisi si addentrava infine nel terreno brullo degli zitelli – i copiosissimi single – mostrando come a prevalere, da quelle parti, sia oggi il voto dem e come però, anche qui, si delinei un sopravanzare dei trumpisti (38%) sulle trumpiste (29%).
Ricapitolando, quindi: il Survey Center of American Life diceva che i coniugi americani esprimono un voto lievemente più compatto; che i divorziati maschi sono elettori di Trump e le femmine elettrici di Harris; e che gli spaiati tendono, generalmente, a votare dem benché, anche qui, le donne lo facciano con più convinzione. Il tutto in linea con un mappamondo oramai diviso per emisferi di genere. Fortemente ripartito in uomini destri e donne sinistre come accade ancora in Austria, Scandinavia e Islanda dove, secondo uno studio dell’Università di Manchester, la secolarizzazione avrebbe intaccato nella sensibilità femminile i valori conservatori. O come pure accade in Corea del Sud – paese in cui uomini e donne sono agli antipodi politici non meno che erotici, visto il tasso di natalità, lo sappiamo, più basso al mondo. (Altro caso è l’Italia che negli anni di Giorgia Meloni, la “prima premier donna”, non ha visto una discrepanza significativa tra maschi e femmine. Anche perché forse, diciamo forse, la capa di destra – non sposata e separata – è quasi più femminista della rivale a sinistra. Ma questo è un altro tema).
Ed eccoci quindi in un mondo, oggi, oramai lontano dall’esortazione al voto femminile di Papa Pio XII nel ‘45. Allorché le signore furono spinte all’urna dal pontefice con l’obiettivo di “contenere le correnti del focolare”. Un mondo lontano, il nostro, pure dai Settanta, decennio in cui, al di là della pittoresca Sandrelli, le donne votavano più a destra e gli uomini più a sinistra. Un universo insomma che cambiò pelle solo nei Novanta. Quando – scrive Vox Media – nelle democrazie industrializzate le donne divennero il gruppo che votava con maggiore frequenza per i partiti di sinistra. In un piano inclinato che porta così agli anni Venti (secolo nuovo). E cioè al momento in cui, con un maschio tossico repubblicano (Trump) e una ragazza “brat” democratica (Harris), pare raggiunto il culmine che induce a domandarci perché.
Perché, come scrive il Wall Street Journal, “le elezioni scatenano una battaglia dei sessi”? E perché, come mostra ancora Public Opinion Strategies, dal 2013 a oggi le giovani donne dem passano dal 55 al 60% e le repubblicane calano dal 29 al 22? Non sarà certo per determinismo di genere, crediamo noi. O perché il colore politico, come scriveva il maschio di destra Gómez Dávila, è “genetico come il colore degli occhi”. Non sarà – o forse sì – perché le donne son per natura più utopiste e gli uomini pessimisti, visto che solo ottant’anni fa le votanti erano dalla parte del Papa e non di Togliatti. Ma allora, domanda: perché oggi spira codesto vento? E, soprattutto, da quale quadrante arriva?
La Guerra dei Roses, l’abbiamo detto, si combatte tra le coppie di stato non meno che tra noi elettori. E una risposta scientifica al fenomeno, forse, non c’è. Ma ecco che, scava-scava, pare che il casus belli, almeno secondo l’Economist, sia stato il Me Too. E cioè il movimento – chi l’avrebbe detto – che dal 2017 a oggi scompiglia il rapporto fra i sessi. Il movimento femminista – breve ripasso – che scambia il cat-calling per una lapidazione, che confonde l’innamorato spinto col persecutore, il povero maschio porco per orco. Il movimento che in questi anni avrebbe portato insomma alla massima divaricazione nel voto rispetto al genere.
“Molti politici di destra”, commentava il settimanale britannico, “stanno alimentando le lamentele dei giovani maschi fintanto che molti politici di sinistra le riconoscono a malapena”. Lamentele dei giovani che si riversano soprattutto contro l’ondata di sdegno – dicesi appunto Me Too – nei confronti del maschio seduttore. Il quale, stando a un altro studio, stavolta pubblicato dal Pew Research Center, dichiara di sentirsi abbandonato, oggi, dal partito democratico e di ritrovarsi invece tra i repubblicani: “gli unici che parlano direttamente a noi maschi”, gli unici che non avallano il Me Too e che, come The Donald, sanno riabilitare il “sottone” scambiato per stalker. Sanno sussurrare al porco scambiato per orco. Insomma, per farla breve, sanno riconquistare il maschio fragile. Il maschio che in Trump, dal 2016, riscopre un suo antieroe. Un suo alleato com’è alleato il miliardario Elon Musk e il wrestler Hulk Hogan (salito sul palco durante la convention a Milwaukee).
Antieroe al quale, per tornare a monte, si contrappone l’eroina di sinistra che secondo Freya India Ager, politologa del King’s College, di questi tempi riscopre nella giustizia sociale una leva di vendetta sul nemico di sempre. Il maschio. Giocoforza tossico. Perché se i ragazzi votano a destra per riscatto – affinché li si riabiliti in un mondo sempre meno a misura di maschio alfa – le femmine confluiscono a sinistra per ragioni opposte. Perché sanno da sempre, spiega ancora Ager, che la loro forza non è la violenza fisica ma psicologica. E sanno che movimenti quali cancel culture e Me Too fanno piuttosto leva sulla psicologia (della recriminazione) e talvolta sul pettegolezzo (arma femminile) per mettere fuori gioco l’avversario, accusarlo tramite gossip, e raggiungere così l’obiettivo: il potere.
E sono perciò movimenti decisamente femminili, i movimenti di sinistra, non tanto per questioni di contenuto ma soprattutto, oggi, per questioni di forma. Perché se è vero che la forma è sostanza, lo è sia tra i repubblicani, con The Donald ferito all’orecchio che si rialza immantinente in segno di virilità, sia dalle parti del Me Too, dove il gioco si vince con la psicologica del rancore. E dove in entrambi i casi c’è un ritorno del tribalismo.
E dunque la forma è sostanza al punto che destra e sinistra, oggi, non sono categorie politiche ma categorie identitarie, quasi tribali. Al punto, ancora, che i sessi – maschile e femminile – non sono fatti biologici ma fazioni politiche. Ed ecco, quindi, il perché. Ecco perché maschi e femmine si scontrano non tanto nelle parti alte – le idee che li uniscono – quanto nelle parti basse: i genitali che li dividono. Ecco perché battagliano nei sessi e nei rispettivi generi i quali, checché se ne dica, esistono ancora. E che a quanto pare, scusate la parola da scemi, sono persino divisivi (è la cosiddetta “politica identitaria”).
E sarà forse questa la chiave del nuovo fenomeno? Sarà in un richiamo al tribalismo – maschi contro femmine – che è in fondo alla base di tutti i fenomeni umani? Chissà. Intanto le categorie politiche separano i sessi. Per intenderci, un po’ come fanno i cessi.