L'editoriale dell'elefantino
Una democrazia senza spada e mollemente procedurale può essere travolta da un baro come Trump
Esistono ragioni schiettamente politiche, ordinarie, argomentative, per licenziare gli uomini e le donne dell’amministrazione Biden e scegliere un’alternativa. Ma la campagna di Trump non è un’alternativa e nemmeno una sfida: è una discesa agli Inferi. La dark comedy da evitare
Per il modo in cui viene combattuto, all’insegna di una malcerta tolleranza, Trump ha diritto di dire: io sono il miglior fico del bigoncio. Un’idea debole della democrazia liberale sta dietro alla baldanza con cui The Donald si è preso il Madison Square Garden a New York per rilanciare il suo bullismo in uno show banale e prevedibile ma di successo (quanto al risultato finale della dark comedy, staremo a vedere). Sarà che il testosterone ha aggiunto un quid di paura e reazione sociale all’elettore maschio medio, e non solo bianco, che non accetta la femminilizzazione della politica woke e abortista, e che detesta l’elemento sissy, debole, della democrazia, come il wrestler Hulk Hogan, superbuffone di una compagnia di piagnoni travestiti da antiwoke.
Contro Hillary Clinton si era già visto nel 2016 lo scatenamento del machismo ormonale. Sarà il deliquio contro gli immigrati e l’establishment che li protegge in nome di accoglienza e diritti. Sarà quella vaghezza identitaria dei democratici americani dispersi nella coalizione delle minoranze e nella promettente ma forse fumosa politica della gioia. Fatto sta che chiunque abbia la testa sulle spalle s’inquieta per le prossime giornate elettorali, spera ma stenta a credere che l’assalto trumpiano fallisca l’obiettivo senza precedenti: il ritorno, la replica se possibile peggiore e più deflagrante della prima esibizione. E ci si domanda: perché è anche solo possibile questo esito infausto?
Una spiegazione semplice e convincente è quella offerta da Leon Wieseltier nella conversazione di ieri con Paola Peduzzi qui. La democrazia senza spada, quella di Weimar, per intenderci, è fatta apposta per la Machtergreifung, per la presa del potere da parte di chi la nega. Insomma, quando non imponi il tuo potere democratico e non fai rispettare le sue regole e il suo spirito con qualcosa di diverso e più solido del proceduralismo e dello stato di diritto giuridico, allora devi aspettarti che l’uomo forte, il baro inveterato, sopravanzi e batta in breccia la democrazia debole, corretta, garantista ma impotente. Se uno che ha subito due impeachment, che ha cercato di invalidare truffaldinamente e in flagranza di reato le elezioni, con la rivolta del 6 gennaio 2021 al Campidoglio e molto altro, che si è esposto come una vittima sacrificale a condanne pesanti in un tribunale non politicizzato, se un tipaccio di quel genere è autorizzato a proclamare che vuole combattere il nemico interno, mandargli contro l’esercito, che vuole deportare nei paesi di origine milioni di immigrati il primo giorno della sua presidenza, che intende perseguire i suoi nemici politici, mollare le alleanze storiche del paese, e altre bellurie come l’elogio dei genitali di un golfista ammirato sotto la doccia, vuol dire che la democrazia è pronta a farsi travolgere, che è stanca, che i reagenti della divisione dei poteri e della Costituzione non funzionano più.
Certo che esistono ragioni schiettamente politiche, ordinarie, argomentative, per licenziare gli uomini e le donne dell’amministrazione Biden e scegliere un’alternativa. Ma la campagna di Trump non è un’alternativa e nemmeno una sfida, è una provocazione sistematica, una discesa agli Inferi. Si può non credere al sentore di apocalisse autoritaria che ne promana, prenderla con sense of humour, ma a proprio rischio e pericolo. Una democrazia con la spada trova il modo, a quattro anni dal 6 gennaio, di fermare la corsa alla sua dissoluzione. Oppure si predispone a essere ferita e imprigionata in un’altra logica.