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Due pesi due misure

“Dicono no alle arance di Jaffa, silenti su Cina, Russia e Iran”. Gli ipocriti letterari contro Israele

Giulio Meotti

Il giornalista inglese Brendan O’Neill attacca gli intellettuali (scrittori, accademici e premi Nobel) che "manifestano la loro pietà per i musulmani di Palestina indossando una kefiah realizzata da musulmani privati ​​di tutti i loro diritti e dignità nel più grande stato non libero del mondo"

Più di mille tra scrittori, accademici e lavoratori del mondo della cultura rifiutano la collaborazione con le istituzioni letterarie israeliane. Ci sono la filosofa americana Judith Butler, che aveva definito “resistenza armata” il 7 ottobre; i premi Nobel Annie Ernaux e Abdulrazak Gurnah; l’indiana Arundhati Roy, l’irlandese Sally Rooney e l’italiana Silvia Federici, firmataria di un appello  a novembre su Le Média in cui si leggeva che “la nostra solidarietà di femministe va a tutto il popolo palestinese, anche ai suoi uomini”. “Trovo la loro ossessione per Israele spaventosa e inquietante”,  dice al Foglio Brendan O’Neill, il giornalista inglese autore di “After the pogrom”. “Un tempo le persone si circondavano di parafernalia cristiane per tenere a bada il diavolo, ora abbiamo letterati che si circondano dell’ideologia del boicottaggio per tenere a bada Israele. Ti espelleranno dalla loro cerchia se hai Soda Stream. Alcuni hanno fatto irruzione nei supermercati e gettato a terra i prodotti alimentari ​​di Israele, come fossero veleni. Hanno interrotto le compagnie di danza israeliane in tournée. In che modo tutto questo aiuta i palestinesi? Vedono Israele come una forza malvagia, peggiore di tutti gli altri. Un orrore nella storia. Questo non solo è storicamente analfabeta, è anche intriso di bigottismo. Ciò che una volta si diceva del popolo ebraico, che era malevolo, ora si dice dello stato ebraico. Ed è narcisismo sotto le spoglie del radicalismo”.

Questo boicottaggio, dice O’Neill, è un  modo per dire “sono una brava persona perché mi rifiuto di avere a che fare con quello stato malvagio”. “Esorcizzare Israele dalla propria vita è l’unico rituale rimasto a queste élite senza Dio. Un atto di autosantificazione per segnalare ai compagni di viaggio che loro sono liberi da Israele e quindi buoni. Ha echi  da anni Trenta. Laddove i nazisti incoraggiavano il boicottaggio dei negozi ebrei per rendere l’Europa ‘Jüdenfrei’, ora il mondo letterario boicotta tutto ciò che è prodotto in Israele per rendere le loro vite ‘Israelfrei’”. Non boicottano mai Cina, Russia, autocrazie islamiche e così via. “L’ipocrisia è straordinaria ed è riassunta nella scrittrice irlandese Sally Rooney. Dice che boicotterà le istituzioni culturali israeliane a causa di Gaza, ma ha lanciato il suo ultimo romanzo al Southbank Centre di Londra finanziato dallo stato britannico. La saccenteria e la bigotteria di queste persone sono incredibili. Eccoli tutti lì, Rooney e i suoi lettori privilegiati, a fischiare la nazione ebraica ‘guerrafondaia’ in un opulento centro d’arte finanziato da uno stato che ha compiuto guerre ben più letali di quella di Israele. Questi amanti della letteratura sono felici di acquistare merci prodotte in Cina e di andare in vacanza in Turchia e di far pubblicare i loro libri in Iran: è solo Israele che evitano. Come sottolineo nel mio nuovo libro, una delle grandi ironie della moda di indossare la kefiah è che la maggior parte di queste kefiah sono prodotte in Cina da musulmani uiguri costretti contro la loro volontà a lavorare nelle fabbriche tessili. Questi svampiti pseudovirtuosi manifestano la loro pietà per i musulmani di Palestina indossando kefiah realizzate da musulmani privati ​​di tutti i loro diritti e dignità nel più grande stato non libero del mondo. Niente riassume meglio l’assurdità, la vacuità e la stupidità dell’attivismo ‘pro Palestina’”. Lo stesso giorno dell’appello al boicottaggio d’Israele, i Talebani hanno deciso che non era sufficiente che le donne non parlassero in pubblico: hanno anche vietato che sentissero la voce di altre donne. Meryl Streep all’Onu ha detto che a Kabul un gatto può sentire il sole in faccia e un uccello cantare, ma una ragazza no. Inutile cercare qualcosa di simile da parte del demi monde culturale sedotto dai barbari.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.