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Il conservatore del futuro

I Tory britannici hanno archiviato ogni tentazione centrista e si preparano a eleggere il nuovo leader

Cristina Marconi

La sfida è tra Kemi Badenoch e di Robert Jenrick. Ritratto incrociato dei due contendenti: tra idee, carisma e conta dei voti

Archiviata ogni tentazione centrista, i Tory si preparano a eleggere la loro prossima guida, che potrebbe essere una carismatica donna nera con la parlantina spedita e uno spiccato gusto per la controversia oppure una specie di Zelig conservatore che negli ultimi tempi ha fatto il possibile per plasmarsi seguendo gli ultimi gusti dell’elettorato. Da leader dell’opposizione, diceva Churchill, devi essere un faro e non una vetrina, tanto più che i laburisti hanno appena vinto e, sebbene non stiano dando una prova particolarmente brillante, hanno una maggioranza tale che fino al 2029, a meno di grossi colpi di scena, è difficile ipotizzare un cambio della guardia. Quindi è inutile sperticarsi a enumerare politiche e dettagli, l’importante al momento è mostrare quali sono i propri valori e cercare di far breccia nel cuore dell’elettorato conservatore lasciando sognare dei mercoledì da leoni al Question Time e una buona capacità di lettura del paese. Tanto da qui a cinque anni il mondo sarà diverso, e i problemi del Regno Unito radicalmente altri. 

“Sono la pagina bianca. Sono la scelta audace. Non sono la solita solfa. Sono qualcosa di diverso”, dice di sé Kemi Badenoch, una che sembra uscita dagli incubi di una sinistra paralizzata dal politicamente corretto: donna, nera, quarantaquattrenne, nata a Wimbledon da un medico e una professoressa di fisiologia nigeriani Yoruba, cresciuta tra Lagos e gli Stati Uniti per seguire le cattedre della madre, con tre figli di 5, 7 e 12 anni, ingegnere informatico, una carriera tra la banca Coutts e lo Spectator, oratrice pimpante, femminista pragmatica, sposata con Hamish, che ha origini irlandesi e un lavoro a Deutsche Bank, decisa a rilanciare il concetto conservatorissimo di famiglia ma su basi più contemporanee. “Essere genitori è un lavoro a due. Dove sono i padri?”, risponde ai vecchi dinosauri che temano che stia troppo dietro ai bambini, tanto più che il suo oppositore Robert Jenrick ne ha tre pure lui e solo appena più grandi.

Come l’ex primo ministro David Cameron, Badenoch non ha paura di fare qualche incursione nel territorio liberal, restando fermamente di destra per tutto il resto. Il suo principale tratto distintivo è lo scetticismo davanti a qualunque strettoia ideologica: il woke, innanzi tutto, ma anche i target vincolanti in materia di emissioni, due concetti in grado di far salire la pressione sanguigna degli anziani elettori conservatori ma anche di creare insofferenza tra i più giovani. E poi Kemi non afferma, lei dubita, al limite solleva qualche polemica e si crea spazio sulla stampa, come quando dice che i sussidi di maternità sono “eccessivi” – ma come, non era per la famiglia? – o che non tutte le culture sono uguali o che alcuni civil servant sono così pessimi che dovrebbero andare in carcere. Lancia la bomba, poi in parte ritratta, in parte si gode la polemica, soprattutto davanti al pallido oppositore, Robert Jenrick, uno che fino a qualche tempo fa era detto “Robert Generic” per la sua assoluta malleabilità ideologica. 

L’unica controindicazione è che, quando Badenoch fa così, la memoria corre a Liz Truss, la peggiore premier che la storia conosca, eletta proprio perché aveva quell’arietta di chi dice le cose come stanno: i suoi quarantacinque giorni a Downing Street sono iscritti nella memoria di chiunque abbia un mutuo o abbia cercato un prestito per avviare un’impresa. Ma dal momento in cui i centristi sono stati fatti fuori dal ballottaggio dei Tory, non c’è che da prendere atto del fatto che il partito continua ad amare tantissimo il rischio. Kemi è brexiteer da sempre, mentre Jenrick sta facendo di tutto per far dimenticare al paese di aver votato “remain”, visto che ha deciso di inseguire Reform e di essere più Farage di Farage. 

Si sa che il processo è pericoloso, anche perché gli elettori che hanno preso la via della protesta radicale molto difficilmente torneranno a entusiasmarsi per una proposta politica più mainstream. Ma lui si è distinto per le sue posizioni sull’immigrazione – non che quelle di lei siano tenere – e per il fatto che per raggiungere il suo obiettivo di mandare i richiedenti asilo in Ruanda, riesumando la vecchia costosissima politica di Rishi Sunak, chiede di mollare pure la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, colpevole di vanificare ogni sforzo di “controllare i nostri confini” perché permette alle persone di fare ricorso a Strasburgo contro ogni decisione di Londra. Per Badenoch non è così, perché la faccenda rischia di finire come la Brexit, con una serie infinita di cavilli e pantani legali che vanificano lo sforzo di cercare la piena indipendenza.

Secondo lei il problema sono più che altro i funzionari che lavorano alle frontiere e che non applicano le leggi, perché vogliono salvare sia i rifugiati sia i richiedenti asilo, “e forse non hanno scelto il lavoro giusto per loro”. I burocrati sono spesso i colpevoli, nel suo mondo. L’importante è che chi arriva nel paese non si porti dietro i problemi del paese d’origine, perché i valori occidentali sono quelli che hanno reso grande il Regno Unito e vanno difesi. “Non è una guerra culturale voler controllare l’immigrazione. Non è una guerra culturale  voler fermare le gang di violentatori e questo tipo di scandali. Non è una guerra culturale  voler impedire che i bambini vengano sterilizzati. Queste sono le cose giuste da fare”. Il rischio che qualcuno di quelli che a parole la pensano come lei non la votino in quanto donna e in quanto nera non sembra turbarla, anche perché l’argomento che non tira mai fuori è il razzismo, quando era responsabile per l’Uguaglianza nel governo Johnson aveva negato l’esistenza del white privilege e ha spiegato di aver subìto discriminazioni solo da gente di sinistra. 

Resta il fatto che con Kemi la gente non cambia canale, anzi, forse alza pure il volume, dicono in tanti. E’ forse per questo che gli organi conservatori si sono espressi quasi tutti a favore di Badenoch. “L’esperienza dei leader dell’opposizione che hanno avuto più successo nella storia recente, ossia Churchill e la Thatcher” insegna che l’importante è puntare sui valori, ha osservato William Hague sul Times, sottolineando come quelli di lei siano “la verità, la responsabilità personale, la cittadinanza attiva, l’uguaglianza davanti alla legge e alla famiglia, intesa in un senso moderno”. Pure lo Spectator, dove era di casa, pensa che lei sia una scommessa che vale la pena fare, almeno non ci si annoierà per i prossimi anni. Matthew Parris, penna formidabile e sguardo acutissimo, dice che se dovesse vendere sua nonna e se Boris Johnson non fosse disponibile, chiederebbe senz’altro a Jenrick, uno che ha “tutti gli attributi di uno che piace alle masse, tranne la capacità di piacere alle masse”. Per Parris “c’è qualcosa del crepuscolo”, nel quarantaduenne deputato di lungo corso, uno che se lo fai sciogliere come la strega del Mago di Oz, invece delle scarpe, alla fine resta solo l’ambizione. Con una moglie avvocatessa americana di otto anni più grande di lui, si definisce “padre di una famiglia ebraica”, dalla religione di lei, ed è un trumpiano della prima ora. Vuole tagliare gli aiuti internazionali e portare la spesa della difesa al 3 per cento del pil, ce l’ha con i benefit e i sussidi vari che dalla pandemia in poi sono esplosi per via della “medicalizzazione del normale stress umano”.

Ha il voto dell’ala destra del partito, anche se dai test con cui i giornali stanno cercando di orientare un pubblico che conosce relativamente poco sia Badenoch sia Jenrick emerge che la prima è ancora più a destra di lui se si guarda alle idee politiche. Ha il voto dei PopCon, ma insospettisce chi pensa che sia un centrista che si è spostato a destra e che tornerebbe centrista alla prima occasione, tipo gemello diverso di Keir Starmer. Forse è per restare fedele alla linea che Jenrick parla soprattutto di immigrazione, dei target che vuole raggiungere – 100 mila ogni anno – anche se i target portano sempre un po’ di sfortuna. Quando ha detto, in un video della campagna elettorale, che per colpa della Corte europea per i diritti umani le forze speciali britanniche “uccidono invece di catturare i terroristi”, in tanti hanno dubitato della sua affidabilità. Quando parla è noiosetto, a Birmingham il suo discorso non ha emozionato, alla fine se è entrato in finale è anche perché il centrista James Cleverley ha giocato d’azzardo per avere lui come oppositore e non la più tonica Badenoch e la cosa gli è sfuggita di mano. Quale che sia stata la sua scommessa, a Jenrick è andata bene e nessuno sottovaluta la sua determinazione. Ma non fa sognare neanche un po’. 

Niall Ferguson ha raccontato di come lei, in vista di un viaggio in California, gli avesse chiesto di metterla in contatto con Tom Sowell, il leggendario economista nero della scuola di Chicago e, a detta di Badenoch, “probabilmente la principale ragione per la quale sono una deputata conservatrice oggi e probabilmente il mio ultimo eroe ancora in vita”. L’aspirante leader è per il libero mercato, niente dazi o tariffe; ha il terrore del comunismo, ha una linea durissima con la Cina. Per lei non esistono vittime e oppressori, ma solo individualità, opportunità da cogliere o meno, e se il Regno Unito ha avuto tanto successo non è stato per la scorciatoia dello schiavismo, bensì per la forza delle istituzioni del paese. “Non dovrebbe giungere come una sorpresa il fatto che potremmo presto avere la prima leader nera d’Europa, e che sarebbe una conservatrice”, scrive Ferguson, dando voce ai sentimenti di un partito che si sta sentendo molto moderno davanti a questa ipotesi. 

I voti sono cominciati, con una vicinanza ideologica tale tra i due contendenti gli attacchi si sono fatti personali, violenti. Dopo essere stati votati da un pugno di deputati Tory, ora il verdetto è nelle mani dei 170 mila membri del partito, età media 60 anni. Hanno tempo fino alle 5 di giovedì, l’annuncio si fa sabato 2 novembre, chi vince dovrà far sentire al governo tutto il peso di uno sguardo lucido, a condizione di averlo. 

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