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In Argentina

Il pragmatismo di Milei e i limiti dei rapporti tra Argentina e Cina

Paolo Rizzo

Pur rifiutandosi di entrare nei Brics, il presidente argentino spinge su un rafforzamento delle intese con Pechino: un mercato di sbocco fondamentale per lo scambio commerciale, con un ruolo cruciale anche per la stabilità macroeconomica e gli investimenti nel paese

E’ passato solo un anno da quando, in piena campagna elettorale, Javier Milei dichiarava che non avrebbe mai stretto relazioni commerciali con i comunisti. Ogni  scambio commerciale con la Cina sarebbe dovuto avvenire per iniziativa esclusivamente privata e senza alcun coinvolgimento dello stato argentino. Le dichiarazioni avevano avuto anche un seguito. Nel dicembre 2023, pochi giorni dopo il suo insediamento come presidente, Milei decise di non aderire al gruppo dei Brics. Quattro mesi prima, l’Argentina era stata invitata a diventare membro ufficiale dei Brics insieme ad Arabia Saudita, Egitto, Etiopia, Iran ed Eeu. Il governo precedente di Alberto Fernández aveva accolto l’invito ma Milei, fedele alle promesse elettorali, decise di rinunciare.  


Eppure, al di là della retorica, all’ideologia di Milei si affiancava un pragmatismo economico. Nella stessa lettera di rinuncia inviata ai capi di stato dei Brics Milei auspicava un rafforzamento dei rapporti bilaterali, soprattutto sul fronte commerciale e degli investimenti. Un atto quasi dovuto verso il Brasile del “comunista e corrotto” Lula e la “comunista” Cina. Nel 2023, il Brasile e la Cina rappresentavano le principali destinazioni delle esportazioni argentine. Nei primi nove mesi del 2024, le esportazioni verso Brasile e Cina sono cresciute rispettivamente del 10 e 25 per cento. 

 

                            
I due paesi sudamericani sono destinati a commerciare in virtù della vicinanza geografica e la partecipazione al Mercosur. Ma, a ben vedere, per l’Argentina è fondamentale anche la relazione con la Cina. Il complesso della soia rappresenta un quinto delle esportazioni argentine e la Cina ne è la seconda destinazione. Inoltre, la metà delle esportazioni argentine di carne bovina va nel paese asiatico. Ma gli interessi vanno al di là del semplice scambio commerciale. 


Argentina e Cina sono legati da una linea di swap valutario tra le rispettive banche centrali sin dal 2009. L’attivazione di questo strumento nel 2023, per circa 5 miliardi di dollari, è stata riconosciuta dalla banca centrale argentina come cruciale per garantire la stabilità macroeconomica, alleviando le tensioni sulle riserve in valuta e facilitando il pagamento delle rate del prestito con il Fmi. Nel giugno 2024 la banca centrale cinese ha poi accolto la richiesta del governo Milei di rinnovare lo swap per altri 12 mesi, allentando ulteriormente la pressione monetaria sulla banca centrale. 


La Cina è anche uno dei paesi che più investe in Argentina. Le imprese cinesi sono tra i maggiori investitori nel litio, l’oro bianco di cui l’Argentina detiene il 20 per cento delle risorse mondiali. Secondo la Borsa di Rosario sono circa 4 i miliardi di dollari investiti in sette diversi progetti di estrazione nel nord del paese. In più la Cina finanzia altri progetti strategici come la costruzione di due dighe in Patagonia, parchi solari e progetti di centrali nucleari. 


Sorprende poco quindi il pragmatismo di Milei verso i principali partner commerciali come la Cina: l’Argentina non può permettersi di perdere le principali fonti di valuta estera. Pur ribadendo l’allineamento geopolitico con le democrazie liberali dell’Occidente, ora Milei esalta  pubblicamente la relazione con Pechino, soprattutto dopo il rinnovo dello swap valutario. Secondo Milei la Cina sarebbe un buon partner commerciale perché non chiede niente a cambio. L’avvicinamento a Pechino è accompagnato da segnali concreti come l’imminente visita di stato della sorella di Milei, Segretaria generale della Presidenza, e il viaggio ufficiale dello stesso presidente previsto per l’inizio del 2025.


Restano però dei dubbi sul fatto che la Cina non chieda nulla in cambio. In passato Pechino ha manifestato un forte interesse nella costruzione di un porto nella Terra del Fuoco che le consentirebbe un accesso strategico all’Antartide. Inoltre, mira a estendere la propria influenza sull’idrovia del Paranà, il vitale corridoio che collega il nord dell’Argentina e il Paraguay all’Oceano Atlantico. Queste ambizioni hanno suscitato preoccupazione, in particolare a Washington. Al comprensibile pragmatismo di Milei si contrappone l’incertezza su fino a che punto l’Argentina possa coltivare i suoi rapporti con Pechino senza generare tensioni con gli Stati Uniti.
 

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