il calcolo di Xi
Mosca e Pechino legate contro Kyiv e Taipei. Ora Taiwan vuole potersi difendere da sola
La “not today policy” del viceministro taiwanese e il Consiglio di Taiwan per gli affari continentali, l’ufficio che gestisce il bullismo della Repubblica popolare cinese
Taipei, dalla nostra inviata. “Il leader cinese Xi Jinping è diventato sempre più arrogante e spregiudicato”, dice al Foglio il viceministro degli Esteri di Taiwan Wu Chih-chung. A un certo punto i paesi europei hanno smesso di pensare che Vladimir Putin avrebbe potuto davvero attaccare l’Ucraina, spiega Wu, che conosce l’Europa perché ha fatto per molti anni il rappresentante di Taiwan a Parigi. Ma Putin era spregiudicato come Xi, e oggi la strategia più semplice per evitare un’altra guerra in Asia è evitare di pensare che non possa accadere: “Non dobbiamo abbassare l’attenzione”. Ma da un lato c’è la politica e la teoria, dall’altro la pratica. In un più piccolo ufficio che fa parte del complesso dello Yuan legislativo, il Parlamento di Taiwan, si capiscono meglio certezze, preoccupazioni e strategie delle autorità di Taipei. Quando parla, il viceministro del Consiglio per gli affari continentali, Wen-chieh Liang, pesa ogni parola: “La ragione per cui la Cina sostiene la Russia nella sua guerra contro l’Ucraina”, dice al Foglio, “è perché pensa che ci sarà una guerra con l’America nello Stretto, e che la Russia sarà dalla sua parte”.
Il Consiglio di Taiwan per gli affari continentali ha la struttura di un ministero, ma è formalmente un ufficio amministrativo. Nel gabinetto del governo taiwanese è l’unico a occuparsi concretamente delle relazioni con Pechino (la sua controparte della Repubblica popolare è l’Ufficio per gli Affari di Taiwan). Wen-chieh Liang, che fa parte del Partito democratico progressista, spiega al Foglio che a differenza di anni fa, oggi le comunicazioni dirette con Pechino sono ridotte al minimo, filtrate da intermediari, ma se c’è un’emergenza è il suo ufficio e quello “per gli Affari di Taiwan” cinese che si parlano, come nel caso di febbraio, quando una barca della Guardia costiera taiwanese si è scontrata con un motoscafo cinese nelle acque di Kinmen, e due persone sono morte. La spregiudicatezza di Xi, anche nelle sue relazioni con Russia, Iran e Corea del nord si vede nel suo tentativo di usare nel resto del mondo il metodo della guerra ibrida che applica a Taiwan, l’isola de facto indipendente che Pechino invece rivendica come proprio territorio, pur non avendola mai governata. Lo fa per esempio con la disinformazione e con l’uso della diaspora e dei gruppi collegati al Partito comunista cinese come il Fronte unito.
Per il viceministro Liang, in Europa “certi metodi funzionano meno solo a causa dell’ostacolo della lingua. In ogni caso la leadership usa la diaspora cinese all’estero per promuovere i suoi interessi, oppure sostiene certi partiti o certi leader per manipolare la situazione politica. In passato lo faceva anche attraverso gli Istituti Confucio e le collaborazioni universitarie, ora c’è più attenzione su certi temi”, spiega Liang – anche se in Italia, per esempio, nessun Istituto Confucio in nessuna università ha mai chiuso. Qualche tempo fa il Consiglio ha aumentato l’allerta per i taiwanesi che decidono di viaggiare in Cina, visto il numero di fermi, interrogatori e arresti: secondo diversi osservatori l’obiettivo delle autorità di Pechino sono sempre di più i viaggiatori comuni di Taiwan, quelli che non fanno notizia, fermi che non hanno conseguenze ma che intimidiscono. A intimidire sempre meno, invece, sono le esercitazioni militari sempre più aggressive che la Cina fa attorno all’isola e che riempiono le pagine dei giornali internazionali: “I taiwanesi si sono abituati a quel genere di intimidazioni, anche se noi siamo molto cauti e ci prepariamo a ogni eventualità”. A Taipei in pochi pensano che l’invasione dell’isola possa essere una tattica praticabile: “In molti parlano del 2027 come orizzonte temporale, è l’anno in cui Xi Jinping finisce il suo terzo mandato e potrebbe avere bisogno di una spinta morale per essere riconfermato, ma personalmente penso che Xi, se vuole prendersi Taiwan, voglia usare il metodo che gli costerebbe il meno possibile”.
Anzitutto l’isolamento diplomatico, il bullismo economico e internazionale. Lo dimostra la notizia diffusa ieri da Reuters, secondo la quale durante l’incontro fra Xi e il presidente americano Joe Biden lo scorso novembre in California, il leader cinese avrebbe chiesto a Biden di modificare il linguaggio formale con cui la Casa Bianca si riferisce a Taiwan, passando da “non sosteniamo l’indipendenza” al più esplicito “ci opponiamo all’indipendenza di Taiwan”. La richiesta non è stata accettata.
L’America, sebbene nel pieno dell’incertezza della fase preelettorale, è con Taiwan e “personalmente penso che se lo Stretto è stato pacifico per così tanti anni è perché la deterrenza americana ha funzionato”, dice il viceministro Liang. “Ma adesso, se continuerà a funzionare, è responsabilità anche dei taiwanesi”. E’ una cosa che si sente dire spesso a Taipei, tra i funzionari pubblici e gli analisti vicini al governo: nessuno vuole dire esplicitamente che le dichiarazioni del candidato repubblicano Donald Trump sul fatto che Taiwan deve pagare di più per quella difesa americana sono state allarmanti. Ma il nuovo corso – anche alla luce della situazione dell’Ucraina – è cercare alleati diplomatici ma prepararsi a difendersi da soli. E si parla sempre più spesso, più che di uno sbarco “in stile Normandia”, di un blocco navale – la strategia dell’anaconda – che Pechino ha dimostrato in tutti i modi di poter fare, e mettendoci molto impegno: secondo le stime, la Cina nel 2023 avrebbe speso 15 miliardi di dollari, il 7 per cento del suo budget, nei giochi di guerra attorno a Taiwan. Il viceministro Wu la chiama la “not today policy, un modo per dire a Xi che se sta pensando a un’azione militare è meglio che ci ripensi”.
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