nessuna normalità

Viktor Orbán porta a Tbilisi il suo sigillo sui piani di Sogno georgiano

Micol Flammini

Il premier ungherese ostenta la bandiera europea e si presenta come il capo di una nuova Ue, proprio mentre i georgiani scendono in strada per chiedere un nuovo voto e gli europei aspettano che la raccolta dei brogli e delle irregolarità sia completa

Tbilisi, dalla nostra inviata. Una delle più grandi case editrici della Georgia, la Sulakauri, ha deciso di esporre nelle vetrine delle sue librerie soltanto un libro: “La fattoria degli animali” di George Orwell. Lo ha tenuto sugli scaffali nelle settimane precedenti alle elezioni e dopo il voto ha deciso di non cambiare la disposizione dei libri per dare il segnale che le cose a Tbilisi non sono tornate alla normalità, anzi sono diventate ancora più anormali di prima: dal voto del 26 ottobre emergono, giorno dopo giorno, sempre più stranezze e la necessità di un’indagine; il paese è spaccato in due realtà parallele, ha a capo un governo intenzionato a non prestare ascolto alle proteste e un’opposizione che sta raccogliendo le prove di brogli per dimostrare che l’elezione di sabato scorso si è svolta in condizioni tutt’altro che corrette. Per ora, il governo aspetta che sia l’avversario a mollare per primo. La strategia dei partiti che hanno sfidato la maggioranza di Sogno georgiano è insistere, quella di Sogno georgiano è far finta di niente, lasciare che siano gli altri a stancarsi: manifestare sfianca e il governo crede di poterla spuntare. “‘Sogno georgiano’ è una traduzione imprecisa”,  dice il giornalista Giorgi Gabunia, tra i creatori del canale d’opposizione Mtavari Arkhi. 

 

 “La parola otsneba, che viene tradotta come sogno, in realtà indica l’intenzione, è più un piano che un sogno”. La lingua aiuta sempre a capire dove sta l’inganno e il partito creato dall’oligarca Bidzina Ivanishvili non è un gruppo disorganizzato, ma la base di un progetto a lungo termine, con una rete fitta di sostegno e alleanze e un copione per il mantenimento del potere già collaudato da altri. 

 

In tutta fretta, durante la notte tra lunedì e martedì, per le strade di Tbilisi sono state messe in bella mostra le bandiere dell’Ungheria per accogliere il primo ministro Viktor Orbán, arrivato per congratularsi con Sogno georgiano. Le bandiere sono montate tra quelle dell’Unione europea e quelle della Georgia e Orbán, nonostante i suoi colleghi europei abbiano preso le distanze dal suo viaggio, a Tbilisi non ha fatto altro che parlare di Europa, portandosi dietro anche il suo ruolo di capo di un governo che presiede il semestre europeo. 

 

La visita in Georgia fa parte del piano di Sogno georgiano e il primo ministro ungherese è venuto a mettere il suo sigillo sulle elezioni dubbie di Tbilisi proprio mentre i georgiani scendono in strada per chiedere un nuovo voto e mentre gli europei aspettano che la raccolta dei brogli e delle irregolarità sia completa. A Orbán non interessa e impettito, di fronte al suo omologo Irakli Kobakhidze, ha detto: “Vorrei congratularmi con voi per non aver permesso al vostro paese di trasformarsi in una seconda Ucraina nel contesto del vostro desiderio di integrazione europea”. Orbán si è complimentato con il governo, ha augurato buon lavoro e affermato che entro dieci anni la Georgia diventerà un paese membro dell’Unione europea. Ovunque andasse, anche a cena, il primo ministro ungherese si è portato dietro la bandiera blu con le stelle dorate e mai come in questo viaggio ha ostentato il suo ruolo di capo di un’Ue alternativa, la sua mansione di direttore di quello che lui e i politici di Sogno georgiano chiamano il Partito globale della pace, contrapposto al Partito globale della guerra, di cui l’Ucraina, menzionata da Orbán nel suo discorso a Tbilisi, fa parte. L’imbroglio non si può sostenere a lungo, eppure Orbán appare per Sogno georgiano come un politico di successo che stando dentro all’Europa riesce a ottenerne i benefici e a metterle i bastoni tra le ruote. 

 

Ad attendere il primo ministro ungherese fuori dalla residenza di Kobakhidze  c’erano alcuni giornalisti, tra loro anche László Róbert Mézes, attivista ungherese arrivato in Georgia per lavoro e trasferitosi per sostenere la causa dei georgiani, innamorato dalla forte volontà di questa nazione di protestare, di insistere, pur di costruire una democrazia stabile. Mézes non si perde una manifestazione, parla e si confronta con i partiti dell’opposizione. Ieri ha atteso l’arrivo di Orbán e mentre il premier percorreva i tappeti rossi che lo conducevano al suo incontro con Kobakhidze gli ha gridato: “Signor primo ministro, come fa a  essere fiero di se stesso? Come fa a venire qui a legittimare un’elezione rubata? E’ forse orgoglioso del fatto che non esista altro partito che copi tanto il suo metodo come Sogno georgiano? Quanto crede di poter portare ancora avanti i suoi piani?”. Orbán ha tirato dritto, Mézes è stato allontanato. 

 

Al governo georgiano sono arrivate le congratulazioni di Ungheria, Russia, Turchia e Cina: una formazione che rappresenta lo schema delle alleanze internazionali, con qualche assente, come la Bielorussia, che si unirà presto al gruppo. Orbán rivendica per sé il ruolo di leader della branca europea dell’alleanza ed è pronto a mettere sotto la sua ala chi segue il suo esempio, come Sogno georgiano, che pure si proclama pronto a entrare nell’Unione, ma rifiuta la richiesta di alcuni paesi di un’inchiesta internazionale su cosa è accaduto nel giorno del voto. Lungo viale Rustaveli, c’è una vetrina tutta colorata con i manifesti di Sogno georgiano: è un quartier generale non ufficiale dei giovani sostenitori del partito. Sono tutti convinti che Orbán sia una guida, un vero amico della Georgia e Budapest e Tbilisi, insieme, possono contribuire a cambiare l’Ue. Orbán è venuto a portare il suo programma. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)